Lo slogan “It’s the economy, stupid!” (il problema è l’economia, stupido!) fu molto popolare nella campagna delle presidenziali americane del 1992, quando i sostenitori di Clinton sintetizzarono a questo modo la ragione per cui George H. Bush non meritava la rielezione. Bush padre, infatti, nella campagna elettorale che vinse nel 1988 affermò solennemente: “Guardate le mie labbra: niente nuove tasse”! Poi, stipulò il famigerato accordo sul bilancio con i democratici che si sostanziò in un aumento della pressione fiscale. Le conseguenze furono, come sempre da che mondo è mondo, una minore crescita e un deterioramento della situazione economica. L’avere vinto la prima guerra del Golfo l’anno prima, liberando il Kuwait, non servì a nulla: fu sconfitto da Clinton proprio sul tema della politica tributaria.
Azzardo una congettura, anche se sono consapevole che dovrebbe essere corroborata da dati di cui non dispongo: la sconfitta del Pdl a Milano e forse anche altrove è in larga parte dovuta agli stessi motivi che portarono alla cacciata di George H. Bush nel 1992, pur essendo reduce da un clamoroso successo di politica internazionale. Anche la nostra maggioranza, come Bush padre, ha promesso meno tasse: nel 1994, nel 2001 e nel 2008. Gli elettori hanno creduto a quella promessa e ci hanno mandato al governo. In cambio, non hanno ottenuto meno tasse e meno vincoli ma al contrario una maggiore esosità e un inasprimento degli oneri e delle vessazioni connesse agli adempimenti fiscali.
Questi balzelli e oneri non danneggiano chi è già ricco né i percettori di redditi fissi, colpiscono con conseguenze drammatiche i ceti produttivi emergenti: commercianti, artigiani, piccoli imprenditori, che grazie alla loro laboriosità e impegno potrebbero diventare ricchi, crescere nella scala dei redditi, ma ne vengono impediti dall’eccessiva rapacità del fisco. Chi è già ricco si rivolge a un tributarista esperto che individuerà moltissimi espedienti per evitare di pagare in modo perfettamente legale. Esistono innumerevoli “scappatoie” legali che consentono di eludere imposte ed erodere la base imponibile. Il gettito delle imposte è basso non per colpa di chi si sottrae al fisco violando la legge – gli evasori sono meno numerosi di quanto generalmente si creda e strappano alle grinfie dell’erario meno di quanto viene stimato. Il gettito è basso perché è possibile non pagare senza violare alcuna norma, in maniera assolutamente legale. Questo spiega perché secondo l’Agenzia delle entrate io, in quanto percettore dell’indennità parlamentare, appartenga all’uno per cento più ricco dei contribuenti italiani.
Siamo alla farsa: è credibile che in Italia i redditi superiori all’indennità parlamentare siano meno dell’uno per cento? Non ho ville, né yacht, né macchine di lusso e non credo proprio che me le potrei permettere; possibile che i fortunati possessori di questi beni siano tutti meno agiati di me? Ovviamente no ma, a differenza di me, possono apparirlo agli occhi del fisco e magari lasciarsi andare a geremiadi contro i dannati evasori che non fanno il loro dovere di contribuenti mandando in malora l’Italia.
La situazione del nostro sistema fiscale è simile a quella degli acquedotti: le perdite di questi ultimi si traducono nello spreco del 60% dell’acqua in essi immessa, per due miliardi e mezzo di euro all’anno. Il sistema fiscale riesce a perdere per strada un’alta percentuale d’imponibile che resta immune da qualsiasi tributo. Si spiega così come il gettito delle imposte dirette rappresenti soltanto un misero 19% del reddito nazionale.
Le conseguenze distributive sono socialmente inaccettabili, perché i già ricchi restano tali eludendo imposte ed erodendo imponibile, coloro che non riescono a sottrarsi all’avidità del fisco sopportano carichi insostenibili e il nostro ministro dell’Economia continua a recitare giaculatorie sul fatto che non ci possiamo permettere di cambiare le cose.
La verità è l’esatto contrario: non possiamo permetterci di non cambiarle per ragioni di equità sociale (un fisco che fa gli interessi dei ricchi e penalizza il lavoro, il risparmio e gli investimenti è immorale), per ragioni economiche (se continueremo a non crescere non risaneremo un bel niente) e per ragioni politiche, perché questa non è una politica di rigore ma di punizione dei nostri elettori che ci renderanno pane per focaccia.
Antonio Martino, 4 giugno 2011
Caro onorevole finalmente tramite il suo blog posso riprendere un discorso aperto con lei fin dal fatidico 1994, in un convegno di partito a Sassari. Ultimamente poi, mi capita sempre più spesso di pensarla come unica persona che possa mettere freno alla politica economica socialista qual è quella di Tremonti e a un welfare con la stessa identità del ministro Sacconi – ex CGIL convertito. Due volponi che lungo questi anni hanno perso il pelo rosso abbandonando solo in parte il vizio dal quale era avvolto. Io sono un liberale pragmatico, convinto che per vincere le elezioni, un Pli al 2% antica maniera non sarebbe stato sufficiente, ma in questo momento per riprendere attendibilità occorre dare una sterzata in senso liberale, che faccia ripartire l’economia del paese. La mia storia di partito e di contribuente ormai mi scoraggia nel seguire e capire dove vogliano parare questi benpensanti del governo. Mi rammarica comunque moltissimo pensare che ancora una volta dobbiamo turarci il naso, perché in mancanza di scelta.
La saluto cordialmente,
Mario Piga
Loc.Lizzilonghi snc
070368 Trinità d’Agultu (OT)
Dice benissimo, caro Professore! … “non possiamo permetterci di non cambiarle (le cose) per ragioni di equità sociale (un fisco che fa gli interessi dei ricchi e penalizza il lavoro, il risparmio e gli investimenti è immorale), per ragioni economiche (se continueremo a non crescere non risaneremo un bel niente) e per ragioni politiche, perché questa non è una politica di rigore ma di punizione dei nostri elettori che ci renderanno pane per focaccia…”
Aggiungerei solo che, se non cominciamo a puntare lo sguardo al medio e al lungo periodo, di questo passo smetteremo per sempre di fare politica. Proprio quello di cui uno stato debolissimo come il nostro non ha bisogno, non tanto per noi che, in un modo o nell’altro, riusciremo a salvare la pellaccia, ma per i nostri figli e per tutti quelli che pagheranno il prezzo delle nostre mancate scelte.
Guardi, onorevole, io penso che Lei abbia senza dubbio ragione dal punto di vista ipotetico tuttavia, riforme quali quelle da Lei indicate, nel nostro paese, sarebbero possibili soltanto se attuate da un Governo di sinistra, eletto con percentuali bulgare e senza la preoccupazione di dover essere rieletto la volta successiva.
Siamo un popolo strano, noi italiani, e chi ci rappresenta in parlamento è lo specchio di cosa siamo.
Le faccio un esempio: IDV si vanta di aver fatto proposte di legge per ridurre il numero dei parlamentari, per eliminare il vitalizio susseguente alla presenza in parlamento anche per poche ore, ci manca più che facciano una proposta per trasformare a titolo gratuito il mestiere di deputato e poi hanno finito.
Lei sa ovviamnte benissimo che IDV fa queste proposte, ben sapendo che non passeranno mai, ma beneficiando così in immagine.
La cosa che trovo indecente è che le medesime proposte vengono bocciate, praticamente all’unanimità, in maniera bipartisan.
Così, quando sento parlare di politica quale scienza del rendere possibile ciò che è necessario mi pare di ascoltare il rumore del gessetto sulla lavagna di ardesia.
Mi scusi per la franchezza.
Francesco Tonelli
Grazie a tutti gli intervenuti. Sul lato della spesa bisogna mettere mano alle riforme: sanità (passaggio a un sistema selettivo anziché universale e adozione del buono-sanità che consenta ai meno abbienti di dotarsi di un’assicurazione sanitaria), pensioni (elevare di almeno cinque anni l’età pensionabile), privatizzazione dei servizi pubblici locali ovunque possibile) e pubblico impiego. Soprattutto, abolizione delle province, riduzione del numero dei comuni a non più di 2.500, ridefinizione delle regioni (accorpamento delle troppo piccole, frammentazione delle troppo grandi). Le aliquote d’imposta devono essere ridotte indipendentemente da quanto accade alla spesa se vogliamo uscire dal ristagno e ricominciare a crescere. Tecnicamente possibile ma politicamente utopico? NO: la politica non deve essere l’arte del possibile, ma la scienza del rendere possibile ciò che è necessario!
@Francesco tonelli
Perchè cosa c’è di così assurdo in quello che ho scritto?La Thatcher in inghilterra fece esattamente questo,tagliò la spesa pubblica e ridusse drasticamente le imposte.Tra l’altro anche recentemente il governo inglese di Cameron ha varato una manovra economica da 84 miliardi di sterline(circa 94 miliardi di euro)che taglierà circa 500.000 posti nel pubblico impiego.Perchè noi non possiamo seguire lo stesso esempio?
@Massimo74
Spero per te, caro Massimo, che il suffisso 74 corrisponda al tuo anno di nascita il che vuol dire che sei un giovane nel pieno dei suoi entusiasmi e convinzioni.
Pensioni-Sanità-Pubblico impiego: è questa la tua strategia per abbassare le aliquote fiscali?
Guarda che se ne parla da almeno 50 anni.
Io non sono un economista ne un fiscalista ma mi pare che occorra ben altro.
Forse, chi ci ospita, potrà darci qualche punto di vista per così dire più tecnico.
FT
@Francesco tonelli
Guarda che non c’è bisogno di rinunciare ad alcun euro di gettito fiscale,basterebbe semplicemente avere il coraggio di tagliare la spesa pubblica a cominciare da pensioni,sanità e pubblico impiego.Il fatto che l’attuale governo non abbia il coraggio di prendere questi provvedimenti e anzi in molti casi fà addirittura il contrario(vedi ad esempio l’assunzione di 65.000 precari della scuola) è un’altro paio di maniche,ma non puoi dire che le tasse non si possono ridurre a causa della crisi economica, perchè questo non corrisponde al vero.
Incapacità, ma certo a risolvere un problema quasi irrisolvibile. L’Italia è un tale coacervo di interessi, privilegi, caste, ordini professionali, poteri forti e poteri fortissimi, lobby, trust, burocrati ottusi, categorie corporative, cooperative che operano solo per i loro dirigenti, sindacati che non presentano rendiconti, ma intrecciano i loro interessi con quelli degli amministratori locali, amministratori incapaci di vedere al di là del loro mandato, ma attentissimi alla loro rielezione, che spendono i soldi pubblici come se li portasse Babbo Natale, e chi più ne ha, più ne metta.
E gli italiani? Sempre divisi in blocchi di pensiero non comunicanti, solo dediti a criticare il “nemico”, ma estremamente restii a documentarsi scientificamente, sempre restii ad ammettere gli errori commessi, ma severissimi con gli errori degli altri, conformisti e terrorizzati dai cambiamenti e soprattutto dal grande nemico di chi è persona e non massa: la responsabilità.
E credo di essere troppo ottimista…
Il fascismo fu spazzato via dalla guerra folle in cui Mussolini cacciò l’Italia, temo che il liberismo tornerà a fiorire nell’animo degli italiani quando, tra qualche anno, la maggioranza musulmana in Europa introdurrà la Sharia e ci ridurrà a dhimmi (i cittadini di serie B, senza diritti nei confronti degli islamici, ma che devono pagare una tassa speciale per il solo fatto di essere cristiani).
Tanto vale a cominciare a non pagare le tasse già ora!
Si discute da molto sulla riduzione delle aliquote e non si conclude mai nulla.
L’aliquota unica sembra essere una di quelle leggende entrate nell’immaginifico collettivo ma che lì resteranno e, oltre a tutto, non riesco proprio a capire come sarebbe applicabile.
Negli ultimi vent’anni l’unica orribile “novità” che siamo riusciti ad inventarci sono gli INQUADRAMENTI DI SETTORE, il più grosso abominio fiscale mai perpetrato e Visco ha pensato bene di renderlo ancor più abominevole.
L’IRAP è una rapina a mano armata alla faccia dello sviluppo di qualunque attività imprenditoriale e non mi si dica che con l’IRAP si finanzia la Sanità.
Le chiedo: quali sono i poteri forti che si intraversano alla possibilità di avere un fisco equo e semplificato nella determinazione del dovuto?
Per semplificazione intendo anche, ovviamente, quelle che Lei definisce “abolizione di tutte le scappatoie”.
Il problema, secondo me, è infatti non è l’aliquota unica ma è non avere dubbi sul metodo di determinazione dell’imponibile e una tassazione in linea con i nostri concorrenti industriali.
Che sia una pura e semplice questione di incapacità?
Francesco Tonelli
Caro Tonelli, la riduzione delle aliquote (meglio l’adozione di un’aliquota unica fra il 20 e il 25 per cento) e l’abolizione di quasi tutte le scappatoie non costerebbe un bel nulla, farebbe aumentare il gettito per l’erario, stimolerebbe la crescita economica e ridurrebbe i redditi dei tributaristi più affermati (non sostengo che sia questa la ragione per cui Tremonti è contrario, ma Le è permesso pensarlo).
Caro Francesco,
i referendum sull’acqua vengono presentati in modo distorto. La norma che vogliono abolire consente ai privati di entrare con partecipazione minoritaria nelle società di gestione degli acquedotti portando capitali utilizzabili per la manutenzione degli stessi, che attualmente sprecano più di metà dell’acqua. L’acqua e gli acquedotti resterebbero pubblici, le tariffe sarebbero controllate da un’autorità indipendente. Altro che “privatizzazione”!
Cordialmente,
am
Onorevole, concordo in pieno.
Se è vero che il gettito delle imposte dirette rappresenta soltanto il 19% del reddito nazionale, allora mi chiedo se si possa eliminare l’elusione fiscale e mettere un’unica aliquota tra il 20%-23% uguale per tutti. Sbaglio a pensare che in questo modo lo Stato incasserebbe più soldi rispetto ad ora, e che le categorie produttive come commercianti, piccoli imprenditori, artigiani, agricoltori avrebbero più soldi da spendere e da investire ?
La cosa che non capisco è perché Tremonti non voglia fare nessun tipo di riforma, che interesse ha ? Quale motivo da come giustificazione ? E poi, perché deve contare più di Berlusconi ?
…
Lei ha citato gli acquedotti.
Bene, il 12 giugno ci sarà un referendum, e da come la maggioranza sta facendo campagna elettorale, cioè inesistente, è probabile una sconfitta. La scelta del SI, di imporre un monopolio pubblico alla gestione dei servizi idrici è incomprensibile. Bisognerebbe spiegare agli italiani che un regime di concorrenza che solo i privati possono assicurare sarebbe nettamente meglio. Nella mia Regione da alcuni anni c’è un gestore unico monopolista per tutti i comuni, che in poco tempo ha aumentato le tariffe e raggiunto il traguardo di 130 milioni di debiti con le banche e 200 con i fornitori. Naturalmente a questo punto la Regione subisce pressioni per staccare un assegno. Se anche lo facesse chi ci dice che, a politiche invariate, tra qualche anno non ci saranno altri debiti ?
Nonostante questo, mi tocca sentire gente in Tv che fa demagogia parlando di “acqua privata” e pericoli di tariffe alte. Come se i soldi pubblici per risanare il debito chiesti alla Regione non fossero soldi di noi contribuenti.
Saluti.
Scusi ho dimenticato di firmare.
Francesco Tonelli
Caro Martino,
Lei sa ovviamente benissimo che, anche volendo, un governo che, pronti via, si è trovato ad affrontare la peggior crisi finanziaria degli ultimi 70 anni, non avrebbe potuto rinunciare a neanche un € di gettito.
Il miracolo, ed è una delle ormai ultime cose su cui mi trovo a dar ragione al nostro Premier, è stato non aumentare la pressione fiscale.
Che poi, Giulio Tremonti, invece che fare il professorino con tagli orizzontali, avrebbe potuto differenziare gli sforzi, è un altro discorso.
Vedremo cosa riuscirà ad inventarsi con la varanda manovra finanziaria.
Lei stesso dice: “Chi è già ricco si rivolge a un tributarista esperto che individuerà moltissimi espedienti per evitare di pagare in modo perfettamente legale.”
Non pensa che il problema stia proprio qui e che il nostro sistema fiscale sia di un bizzantinismo intollerabile? Forse se riuscissimo a far si che i tributaristi facciano la fame, ritracciando regole semplici e giuste, otterremmo due risultati: tasse più giuste e meno evasione.
Per la cronaca anch’io sono tassato alla fonte.