Gli episodi poco edificanti degli ultimi tempi dovrebbero costringere tutti quelli che hanno a cuore il futuro dell’Italia a una riflessione ineludibile: il sistema di governo locale è indifendibile e va cambiato con la massima urgenza. Non c’è quasi regione italiana che non sia stata investita da scandali connessi alla gestione avventurosa quando non truffaldina del pubblico denaro. Dalla Lombardia alla Sicilia, passando per il Lazio e la Puglia, è stato un susseguirsi di sordidi episodi di malaffare, sprechi, ruberie e simili. Ciò che i contribuenti versano all’erario è stato trattato come res nullius e utilizzato per arricchimenti personali e futili spese. E’ il momento di cambiare, ogni giorno di ritardo ci costa letteralmente milioni di euro.
Secondo i dati riferiti nella Relazione della Banca d’Italia il 31 maggio scorso, nel 2011 le spese totali delle Amministrazioni Pubbliche sono state pari a quasi 800 mila milioni di euro (798.565): ben oltre due miliardi di euro (€2.187.849.315) ogni santo giorno dell’anno, quasi 100 milioni (€91.160.388) ogni ora, un milione e mezzo (€1.519.339) ogni minuto! Le amministrazioni locali hanno comportato una spesa di quasi 250 miliardi (242.905 milioni), la bellezza di oltre quattro mila euro (€4.167) per ogni italiano: si tratta di un’enormità che dovrebbe essere ridotta. Come?
A me sembra, e credo di averlo ripetuto ad nauseam su queste colonne, che gli enti di governo locale siano troppi sia come numero complessivo sia come livelli. Non sono certo che sia davvero necessario avere i consigli di quartiere, i municipi, i comuni, le aree metropolitane, le province, le regioni, le comunità montane, i parchi nazionali, per non parlare dello Stato e dell’Unione Europea. Potremmo benissimo averne molti di meno: se vogliamo le aree metropolitane, le province e le regioni sono palesemente inutili. Non credo ci sia nessuno disposto a sostenere che non possiamo andare avanti con meno di ottomila comuni per una popolazione totale di sessanta milioni. L’esistenza di un comune dovrebbe essere giustificata dalla sua autosufficienza, dalla capacità cioè di amministrare una popolazione che possa sopportare il costo dell’amministrazione comunale. Non si vede perché, infatti, a sopportarlo dovrebbero essere i residenti di altri comuni. A occhio e croce, direi che duemila comuni sarebbero più che sufficienti: la popolazione comunale media passerebbe da 7.500 a 30.000 e il finanziamento autonomo diverrebbe la regola, non l’eccezione.
Il bubbone maggiore, tuttavia, quello che è più urgente eliminare, sono le regioni: nessuna persona onesta può sostenere che l’esperimento regionale sia stato un successo. Lo dico a prescindere dagli episodi di malaffare. Le regioni, infatti, non possono essere considerate enti locali; la Lombardia ha quasi dieci milioni di abitanti, la Sicilia cinque, non sono dimensioni da ente locale ma da Stato autonomo. Sono troppo grandi perché il controllo dei cittadini sul loro operato possa essere efficace; d’altro canto ci sono anche regioni troppo piccole, come il Molise. Soprattutto, a cosa servono?
L’ottanta per cento del loro bilancio è costituito da spesa sanitaria: è sensato avere un Presidente (o governatore), un governo e un parlamento, oltre a una vasta burocrazia regionale, per amministrare le spese della sanità? A me non sembra.
Non basta: la famigerata riforma del Titolo V della Costituzione, fatta in fretta e furia a ridosso delle elezioni del 2001 dalle sinistre col deliberato scopo di sottrarre consensi alla Lega, ha accresciuto a dismisura la discrezionalità delle regioni in materia di spese, dato vita a una terza Camera (la Conferenza Stato - Regioni) e conferito alle stesse il potere di avere relazioni internazionali, giustificando così la nascita di una diplomazia regionale, con connessa rete di ambasciate regionali! Siamo alla follia.
Si aboliscano, quindi, le regioni e le province, si riduca a 2000 il numero dei comuni e si conferiscano a essi le competenze degli enti aboliti. Avremmo un periodo di aggiustamento durante il quale sarà necessario occuparsi del problema del personale in esubero degli enti aboliti ma, alla fine, avremo un sistema di governo locale efficiente, razionale e molto meno costoso dell’attuale.
Questo suo post, onorevole Martino, ha avuto pochi consensi (solo 26 commenti) invece tocca un punto centrale del nostro Paese: la spesa. Questa è la dimostrazione che non ci interessa far spendere di meno lo Stato e quindi diminuire il carico fiscale. Ci piace parlare di macroeconomia, di politiche tributarie, ma mai di cose così pratiche. Oggi non si fa che parlare di aumenti di IVA di ripristinare IMU e così via, nessuno parla più di tagliare la nostra folle spesa annua. Me ne rammarico.
Quanto alla sua ultima proposta di riforma dell’amministrazione pubblica sono d’accordo su tutto tranne l’accorpamento dei comuni che non la farei così facile, perché parliamo di un ente in Italia antico quanto la nostra storia e non quella unitaria ma proprio civile… se è sopravvissuta a tanti secoli oltre che aver determinato dei modi di vivere la quotidianità degli italiani, ha anche in sé un qualcosa di vincente. Io parlerei di facilitazione di aggregazione di più comuni in un circondario che non avrà però un apparato eletto (sarà composto dai sindaci) e trovare regole condivise che non lo renda un nuovo blocco che fomenta leggi e leggine o che mangi soldi. W l’Italia dei comuni e delle più o meno grandi cittadine di provincia con le loro tradizioni e il loro folclore.
L’On. Martino avrà la bontà di scusare la petulanza dei miei post….
No, Regioni, Province e Comuni sono inemendabili, lo dice uno che per lavoro ha passato ore e ore seduto nelle anticamere degli Assessorati.
Non solo, come i fatti stanno dimostrando, sono l’apoteosi dello spreco ma, soprattutto quelle a Statuto Speciale, con le loro Leggi e Leggine, il peggior freno all’economia.
Quanti sanno quanti anni di burocrazia ( per non parlare della corruttela) ci vogliono per progettare e aprire un albergo in Sardegna?
Io si, lo so, purtroppo…..
Chiedetelo all’Aga Khan….
Occorre ritornare allo Stato Unitario disegnato da Cavour, modellato sul sistema della Repubblica Francese ( per quanto antipatici mi posano essere i nostri cugini d’oltralpe) dove le c.d. “Autonomie locali” esistono, ma hanno a malapena la possibilità di scegliere se pitturare di blu o di verde le panchine dei giardinetti pubblici.
Lo vuole Parigi! Dice il Prefetto.
E le cose si fanno con la migliore efficienza e la minor corruzione possibili.
Non solo, ma i fatti di questi giorni hanno bene dimostrato dove stanno i “veri” soldi e il “vero” potere.
Avrebbe potuto un Deputato o un Senatore qualsiasi mettersi in tasca con la medesima facilità i soldi che si sono messi in tasca nelle Regioni (Lusi a parte)?
Qui in Sardegna l’essere inviati al Parlamento Italiano è per un Politico una vera e propria diminutio, alla quale si oppongono con forza….. quando un Politico ha sufficientemente “munto” viene mandato a Roma per lasciare il posto ad altri.
E quando un Politico locale è veramente molto “forte”, e avrebbe i voti per essere eletto una dozzina di volte alla camera e una mezza dozzina al Senato ben se ne guarda dal candidarsi alle Politiche…
Molto più rimunerativo avere un bell’Assessorato…..
Non amo Monti, ma se riuscirà a coventrizzare le Regioni l’opera che avrà compiuto sarà stata veramente meritoria.
Mi pare comunque che l’attuale offensiva (meritoria) della Magistratura non stia avvenendo per caso…….
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Per chi crede che “non serve a niente manutenere il sistema. E’ necessario riformarlo”.
A mio avviso, rifare la costituzione italiana in senso democratico (=anti-partitocratico) è utopico.
Al contrario, rifare uno statuto regionale potrebbe essere molto più semplice. Non so se sia conveniente disfarsi di questa possibilità di riforma.
Come al solito sono tendenzialmente d’accordo con l’On. Martino.
Ma ho qualche dubbio quano scrive:
“Si aboliscano, quindi, le regioni e le province, si riduca a 2000 il numero dei comuni e si conferiscano a essi le competenze degli enti aboliti.”
D’accordo con labolizione delle Regioni e della parte per così dire “politica” delle Province( la parte “tecnica” è indispensabile per la manutenzione di strade provinciali, scuole superiori etc. per non parlare delle Prefetture) ma non si debbono dare le competenze degli Enti aboliti a 2000 Comuni.
Queste competenze se le deve riprendere un forte Stato nazionale.
Caro prof. Martino, temo che nello Stato democratico la ricerca della funzionalità sia pura utopia, perchè le istituzioni e relativi addetti sono la sorgente da cui la politica attinge il suo elemento vitale: il consenso.
E sopprimere l’egualitarismo comunista che salva la massa degli incapaci, introducendo la meritocrazia liberale che rende vincente solo una esigua minoranza di soggetti capaci, sarebbe come avvelenare il pozzo da cui si beve.
La politica avvelena già i contribuenti con una giustizia tributaria di cui è meglio non parlarne. Se iniziasse a scontentare pure i 4 milioni di dipendenti pubblici chiedendogli di lavorare e rendere funzionante lo Stato, potrebbe dichiararsi fallita da sé.
Temo che la politica (legata al consenso come il neonato al cordone ombelicare) non possa fare niente che non piaccia alle classi sociali che detengono una qualche forma di potere culturale, giuridico o economico. Quindi l’interesse generale finisce rozzamente immolato sull’altare di un pulviscolo di interessi particolari.
Nella mia ignoranza, temo che stiano così le cose democratiche (e non solo italiane); anche se spero vivamente, caro prof. Martino, di aver preso una cantonata.
Cordiali saluti fl
E chi lo fa? E come?
Le migliaia di leggi regionali diverse le possiamo anche buttare tutte a mare, un pò di anarchià non sarà poi così cruenta.
Decadranno anche tutte le delibere comunali susseguenti, ma vabbè, si sopravvive.
Ma chi lo farebbe? Un politico? Un partito? Un sindacato? Un tea party? Un comitato?
Ma se neanche di fronte a milioni di firme la ns. classe politica fa una piega.
Neanche se il 90 % dei votanti gli abolisce la proporzionale o il finanziamentod dei partiti muovono un dito contro se stessi.
Maddài. O li prendi alla sprovvista con un sotterfugio, come fece Cossiga quando approvò all’ultimo minuto il referendum Segni (e gliela fecero pagare). Oppure gli basta un semplice “no”. Anzi, neanche quello. De miminis non curant.
Per questo io credo che invece, la chiave di volta potrebbe proprio venire dal locale, da una regioncina che dia il buon esempio e si stacchi.
Va bè, l’ho già detto e non interessa a nessuno.
Quando a un imperativo si aggiunge anche immediato, che dovrebbe essere implicito già nel termine, allora vuol dire che siamo proprio conciati male perché dimostra che non abbiamo nemmeno più fiducia nell’etimologia, nella semantica delle parole.
Caro Contardi,
lei ha ragione da vendere: ogni livello “ufficiale” di governo locale comporta un’infinità di altri enti “semi-ufficiali” e così via. Per questo credo che il marcio maggiore sia nelle amministrazioni locali, regioni per prime, e non in quella centrale, che peraltro è lungi dall’esserne immune.
Cordialmente,
am
Egregio professore
oltre ai livelli amministrativi da Lei elencati, non va dimenticato che esistono tutta una serie di sottostrutture che alimentano un esercito di maneggioni (naturalmente gestiti, come sempre, dalla politica). Io vivo e lavoro come libero professionista in un comune di circa 3.500 abitanti che deve giocoforza condividere con altri comuni molti servizi essenziali. Ebbene, per la fognatura e l’acquedotto abbiamo la “multiservizi” (totalmente a proprietà pubblica con conseguenti prebende agli amministratori), per i rifiuti il CIR33 (idem CS), per il trasporto locale e altre cose che neanche conosco c’è il COGESCO (idem CS), poi ci sono fantomatiche unioni di comuni per varie altre esigenze che a volte vengono inventate ad arte solo per giustificare l’esistenza degli enti stessi.
Naturalmente, ognuno di questi enti ha un suo regolamento per la gestione dello specifico servizio, che di solito è anche nelle competenze di altri enti (ASL, ARPA, comuni stessi).
Quindi, non abbiamo solo “i consigli di quartiere, i municipi, i comuni, le aree metropolitane, le province, le regioni, le comunità montane, i parchi nazionali, per non parlare dello Stato e dell’Unione Europea” a complicarci la vita, ma anche tutta questa serie di carrozzoni.
Poi ci si lamenta che è difficile fare impresa……….
Ecco la seconda eccezione. La Sua cortese risposta rappresenta quel che pensavo fino ad alcuni (tanti) anni fa. Ma non si vive di soli ricordi. Se con la Secessione Lei riuscisse a far superare ai siciliani in tre anni il reddito pro capite dei monegaschi, non si capisce perchè ciò non dovrebbe accadere con un Federalismo che lasci il denaro prodotto là dove viene prodotto. Cioè piena autonomia e ognuno padrone a casa sua. Basta trasferimenti dalle regioni del Nord a quelle del sud e vediamo come si sviluppano le varie economie.
Normalmente, da ospite, non intervengo se non con un solo commento, ma in questo caso è necessaria una eccezione (anche due …). Qui si parla di Lombardia e Sicilia (o Calabria, p Campania, o Puglia) e si mette tutto in un fascio. Guardiamo all’Italia, non alla Svizzera o a Calcutta. Anche in Lombardia sembra ci sia qualcuno che ruba. Ma, almeno, la sanità funziona MEGLIO, MOLTO MEGLIO che in Sicilia etc. Mi sembra che questo sia sufficiente per non mettere sullo stesso piano le regioni che, pur con i loro difetti, forniscono quello di cui i cittadini hanno bisogno e sono autonome finanziariamente, con le regioni che non forniscono servizi adeguati e pensano solo a spremere soldi da Roma.
Esatto, una Repubblica Costituzionale Liberale, che non deve gestire la vita, dare diritti e/o felicità con 14 ministeri e passa, ma che solo riconosca, difenda e garantisca la libertà individuale e la proprietà come diritto naturale precedente della Creatura Umana, esattamente come dice il Ron Paul, e che corrisponde a quella che secondo me la storia ha distillato come la più riuscita forma di stato, la repubblica costituzionale egli Stati Uniti d’ America. Il popolo italiano con il suo genio, la sua cultura ed il suo amore per la vita in un tale assetto, saprebbe fare cose strepitose.
La Difesa, gli Esteri, la Costituzione (una vera),e la Sorveglianza (ora assente).
. . . continuo il ragionamento . . .
Però, tagliare i magna magna è semplicemente impossibile, allo stato attuale. Per il semplice motivo che lo stato sono loro, la classe politica sono loro, e certo non hanno nessuna voglia di suicidarsi. Basta vedere cosa succede da vent’anni con la legge elettoarle, e con il finanziamento pubblico dei partiti.
Perciò, continuo a proporre sempre la stessa soluzione: un cambiamento istituzionale completo, ma attuato solo localmente, dove la classe politica lo permetterebbe.
Ovvero in Sicilia, già a statuto speciale, che potrebbe diventare specialissimo, visto gli attuali scandali gestionali.
E, ovviamente, con la garanzia di Martino come Governatore.
Peccato che io sia emiliano . . .
Caro Massimo, io sono lombardo e le dico che vivere e lavorare in Lombardia ha i suoi costi, non solo in termini fiscali, ma anche di sovrapopolamento, iperburocrazia, controllo, ecc.. Mi viene in mente un formicaio che non produce soltanto ricchezza a vagoni, ma vive di una dittatura burocratica/militare(vigili e telecamere) soffocante. Provi a fare una consegna con un camioncino a Milano. Oppure ad andare in qualche altro posto per una commissione. E’ una caserma, una piccola Germania e a mi la me pias minga e difatti ghe vu mai.
P.S.(i mezzi pubblici costano troppo e non sono così frubili da tanti punti di vista, la sanità lombarda tanto decantata costa un occhio e bisognerebbe ogni tanto fare un confronto anche con la Svizzera non solo la povera Calabria o Calcutta).
Il vantaggio del mantenere le regioni è che già esistono, e quindi politicamente (e anche psicologicamnete) sarebbe più facile alterarne lo statuto, invece di eliminarle completamente, o creare delle entità nuove, tipo la Padanía, o cose del genere; che tra l’altro hanno una certa connotazione razziale. (Già mi immagino il bailamme, al momento di decidere chi appartiene a questa o a quella “macro-regione”. Io, per esempio, sono un ligure, e non credo che la Liguria appartenga culturalmente alla Padanía…)
Ma io parlo di trasformare realmente le regioni in mini-stati, lasciando al governo centrale solo la funzione della difesa. Io credo che il problema oggi sia lo stato italiano, non le regioni. Ma francamente non vedo soluzioni: come si fa a immaginare che lo stato, la funzione primaria del quale è l’autopreservazione, inizi progressivamente a smantellarsi e a decentralizzare le sue funzioni?
Caro Massimo,
a me il ritorno al Regno delle due Sicilie non dispiacerebbe: mi farei nominare Vicerè di Sicilia e in tre anni il reddito pro-capite dei miei corregionali sarebbe superiore a quello dei monegaschi! Ma, a differenza di lei, non sono disposto a rinunciare all’Italia, di gran lunga il più bel paese del mondo. Nella Grande Guerra, siciliani, lombardi, veneti, romani, piemontesi e calabresi combatterono e morirono per la stessa bandiera, la stessa Patria, lo stesso re. Farebbe bene a non dimenticarlo.
Cordialmente,
am
La proposta conclusiva è condivisibile: abolire regioni e province (qualche perplessità, trattandosi di una istituzione che ha forti radici nel nostro costume) e ridurre il numero dei comuni (magari 2000 sono un po’ pochi …). Ma quanto tempo ci vorrebbe ? Non sarebbe forse meglio un taglio più radicale dell’Italia, con una divisione, a tutti gli effetti, tra il Nord più Marche e Toscana ed il cento sud (Lazio a parte) che si governino e agiscano come meglio credono, indipendenti ed autonomi tra loro, fondati sui loro sentimenti, usi e costumi ? E poi, mi consenta di obiettare al Suo incipit “dalla Lombardia alla Sicilia …”. Vero, sono emerse in tutte le regioni questioni da valutare anche sotto il profilo penale. Ma averne di Lombardia ! Soprattutto per i servizi e i risultati di bilancio che le altre regioni non hanno (forse a parte il Veneto che vedo come la più prossima alla secessione perchè la più “diversa” rispetto al panorama nazionale).
Caro Barabaschi,
la tentazione è forte e diffusa: trovare l’uomo forte che risolva i nostri problemi e poi, possibilmente presto, se ne vada. La proverei anch’io se non fossi convinto che un santo che ha tutto il potere e non ne abusa non esiste. I nostri problemi devono essere risolti da noi (poco probabile) o da una squadra di marziani competenti (non impossibile)!
Cordialmente,
am
I sistemi federali funzionano solo se hanno due forti livelli di controllo: una grado di democrazia elevato ed una forte sorveglianza centrale.
Altrimenti, sopravviene l’arbtrio.
Al contrario, il vantaggio del federalismo sarebbe che mette a confronto diversi sistemi giuridici (quelli dei diversi cantoni o regioni o staterelli), col presupposto che il cittadino possa poi scegliere di modificare il proprio modello insoddisfacente copiando quello migliore.
Ma questo presupporrebbe leggi di iniziativa popolare, assenza di quorum, elezioni uninominali, etc. Insomma, delle istituzioni a democrazia semidiretta.
Poiché, invece, siamo in uno stato socialista e per nulla democratico, poco importa se a scialacquare sia lo stato o le regioni o le province. Il criterio, come sostiene Martino, è che meno enti ci sono, meno saranno i parassiti.
In quanto presupponiamo a priori che siano parassiti,ovvero che il sistema non funzioni.
Sarebbe più auspicabile attuare quelle riforme (epocali) che facessero funzionare il sistema.
Tra queste, oltre a quelle in senso democratico e liberale, anche alcune di garanzia sulla qualità della classe politica (che sarebbe la dirigenza amministrativa), come prerogative di competenza e remunerazioni delle cariche elettive compemsanti solamente il reddito perso.
Ma visto lo stato di emergenza, meglio attuare subito il taglio dei “magna magna”.
Caro Professore le preannuncio che come al solito pubblicherò il Suo scritto nel mio studio. Lei é l’ unico uomo politico, che io conosca, che goda attalmente di una stima e di un rispetto che non sembrano ancora travolti dal qualunquismo antipolitico dilagante. La frase che ricorre di solito é, dopo una breve ricognizione mnemonica talora,: “Ah sì! E’ stato ministro due volte, bravo! E ma, vedi che lo hanno silenziato. . . non lo si vede mai. Eh, magari . . . ma non può candidarsi lui invece del “berlusca” che non ha fatto niente e poi . . . daai!” Sono convinto sia esperienza di molti che La sostengono e La citano.
NO MARTINO NO PARTY! Coraggio Professore!
Sono d’accordo con Lei L.P. ma lo stesso valga anche per gli enti locali, i cantoni. Non vorrei pagare le stesse ipertasse per una pletora inutili servizi locali e magari avere i vigili vicinivicini a curarmi quando esco dal bar per vedere se sono troppo facoltoso rispetto alle tassissime che dovrei pagare a Milano invece che a Roma, Bruxelles, Pechino o chissà quale altro potentato!
Un saluto a gli ADAM.
Secondo me invece sarebbe meglio trasformare le regioni in cantoni, o mini-stati, e dargli una quasi totale autonomia, soprattutto fiscale, riducendo le funzioni dello stato centrale a poche cose essenziali.
Carissimo Professor Martino,
come non darle ragione al 100%? Purtroppo, tra tante altre concause, in Italia c’è uno Stato cancro che da 2.000 anni ha metastatizzato la quasi totalità dei cittadini (pardon, sudditi) i quali oramai sono del tutto incapaci di pensare al merito, al piacere dell’onestà e brigano quotidianamente per ottenere con qualsiasi mezzo il famigerato posto fisso quale diritto, senza mai citare anche il dovere di conquistarselo e tenerlo ben stretto.
Chi di costoro che come ratti infestano Stato, Regioni, Province, Comuni e la miriade di Enti segherà le zampe della sedia, poltrona, trono producendo come minimo, non dico ricchezza oggettiva, ma almeno quei servizi dovuti e pagati colle nostre tasse? Nessuno!
Non esistono tiranni illuminati che, cancellando le libertà nel sangue, raddrizzino le schiene storte, ma quando nella antica Roma arrivavano ad una corruzione dilagante, veniva nominato un console o dittatore (nell’accezione appunto dell’antica Roma) che riportava l’ordine. Mi vergogno al solo accennare a questa soluzione ma, la prego di credermi, la sento sempre più spesso da persone tranquille di qualsiasi estrazione sociale, e ciò attenua la mia vergogna, anzi la cancella. Se lei avrà la bontà di rispondermi, mi aspetto una severa reprimenda che, fatta da lei, ascolterò e mediterò, ma, avendo raggiunto una
ancorchè modesta ragionevolezza, lavorando una intera vita da imprenditore e producendo, colla preziosa collaborazione di altri lavoratori dipendenti ed autonomi, ricchezza oggettiva, aiutato anche dalla lettura dei suoi splendidi saggi, ora non ne posso più. Anche perchè ho pagato tante di quelle tasse che mi vergogno di averlo fatto; il tutto per ritrovarmi in uno Stato di tirannia fiscale e senza quella libertà economica senza la quale, come lei ripete costantemente, non esiste altra libertà.
La prego di scusarmi dello sfogo ed accettare i più cordiali saluti da un semplicemente liberale.
Pietro Barabaschi
Ben detto!! E’ giunto il momento di dare un bel calcio nel sedere agli incantatori di serpenti che hanno fagocitato inestimabili risorse in nome dell’autonomia, del federalismo, degli statuti speciali e dell’intangibilità della politica. Azzeriamo tutto!
Tutto condivisibile al 100%.
Vorrei fare un osservazione. In questi giorni girando per i blog ed anche ascoltando le interviste dei politici nazionali la parola d’ordine sembra essere: “il federalismo è fallito perchè non era sufficientemente federalismo…dunque ci vuole più federalismo e così risolviamo il problema”(!)…Ora faccio notare che nella vita normale, reale, quando un esperimento, una strategia o una qualsiasi azione si rivela fallimentare la prima cosa che si pensa è: “abbiamo sbagliato, fermiamoci e torniamo indietro”. Nella politica (ma anche in economia) le cose sembrano andare diversamente, la logica e il buon senso si inceppano e così si procede con ragionamenti controintuitivi: lo sme non funziona? Facciamo direttamente la moneta unica. Le autonomie locali hanno generato sprechi e corruttele? Ci vuole ancora più autonomia!! L’argomento usato è: “ma non vorrete mica ridare i poteri a Roma (ladrona) gli enti locali sono più vicini e il cittadino li controlla meglio Roma è lontana!”. Ora qui siamo di fronte a una colossale menzogna:
1) Non è vero che le amministrazioni locali (province e regioni) sono più controllate dal cittadino medio rispetto al governo centrale, è vero l’esatto contrario. Sfido chiunque di voi a farsi un giretto per strada e interrogare i passanti chiedendo loro il nome del presidente dell’assemblea della propria regione…la verità è che la politica nazionale è sempre e giustamente nell’attenzione dei media e dell’opinione pubblica, quella locale molto meno. Nelle regioni si ruba in silenzio (e meglio).
2) lo spauracchio del “dover ridare i poteri a Roma(ladrona)” è privo di fondamento storico. Poichè prima del 1970, ovvero prima della creazione delle famigerate regioni non mi risulta che lo stato fosse più spendaccione corrotto e inefficiente di quanto non si sia rivelato dopo…fortasse precise contrarium! Prima del 70 avevamo una spesa pubblica al 30% del pil un inflazione bassa, un debito basso e tassi di crescita economica altissimi. Non stiamo parlando di un paese scandinavo(virtuoso per grazia divina), non era la Finlandia o la Danimarca, questo paese si chiamava Italia, I-T-A-L-I-A
Argomentazioni ineccepibili e proposte del tutto condivisibili. Caro Professore, le traduca in disegno di legge costituzionale, sarei il primo a scendere in piazza per esigerne l`approvazione.