Luigi Einaudi:
Un cavourriano all’opera nel XX secolo
Antonio Martino, Asti 3 dicembre 2011
Molto si potrebbe dire di Luigi Einaudi nel cinquantesimo anniversario della morte, ma a me sembra che nel momento attuale vada sottolineata soprattutto una delle sue memorabili lezioni di politica economica: il principio del pareggio del bilancio e l’articolo 81 della nostra Costituzione.
L’articolo 81
Il 24 ottobre 1946, alle ore 17, si riunì la Sottocommissione all’Assemblea Costituente. La riunione fu molto breve il che può essere spiegato in un solo modo: erano tutti d’accordo sul significato di quello che stavano facendo, specie per l’ultimo comma dell’articolo 81 che, come voi sapete, recita “Ogni altra legge che imponga nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte”.
A quella riunione partecipavano due personaggi fra loro molto diversi, uno piemontese e l’altro lombardo, uno liberale e l’altro democristiano, uno liberista e l’altro fautore della programmazione, ma che avevano in comune la stessa tradizione culturale incorporata negli studi italiani di scienza delle finanze e che concordavano assolutamente su questo punto. I due personaggi si chiamavano Luigi Einaudi ed Ezio Vanoni.
Luigi Einaudi in quella riunione disse che l’ultimo comma dell’articolo 81 costituisce “il baluardo rigoroso ed efficace voluto dal legislatore allo scopo d’impedire che si facciano nuove o maggiori spese alla leggera senza avere prima provveduto alle relative entrate”.
Questa tesi fu appoggiata dall’onorevole Ezio Vanoni, il quale precisò che la norma è una garanzia della tendenza al pareggio del bilancio e che è opportuno che, anche dal punto di vista giuridico, il principio sia presente sempre alla mente di coloro che propongono spese nuove. Il governo deve avere la preoccupazione che il bilancio sia in pareggio e la stessa esigenza non può essere trascurata da una qualsiasi forza che si agiti nel paese e che avanzi proposte che comportino maggiori oneri finanziari.
Vorrei sottolineare il fatto, particolarmente significativo, che a volere il principio del pareggio del bilancio fosse Ezio Vanoni il quale credeva nella necessità della programmazione.
Ora programmare significa distribuire risorse date a scopi alternativi secondo una certa scala di priorità. Programmare è però impossibile quando non si tiene presente il vincolo delle risorse. Se ogni esigenza viene discussa separatamente, in modo indipendente dalle altre, non è affatto detto che le esigenze meglio soddisfatte siano anche le più urgenti e quindi la programmazione della spesa pubblica, in assenza di un pareggio del bilancio, diventa impossibile.
Il principio del pareggio del bilancio, ripeto, oltre che per questa ragione attinente alla programmazione, era soprattutto voluto come principio di trasparenza e correttezza nella gestione della cosa pubblica.
Facciamo ora un passo indietro di dieci anni.
Nel 1936 fu pubblicata la “Teoria generale dell’occupazione, interesse e moneta” di Keynes. Grazie a quest’opera si passa dalla concezione costituzionale che era stata propria della destra storica e anche della sinistra e che è propria del legislatore costituente e quindi dell’articolo 81 della nostra costituzione, ad una visione discrezionale del saldo del bilancio pubblico.
Mentre, dal punto di vista della visione costituzionale, non ci si proponeva il quesito se quella fosse la soluzione ottimale, dal punto di vista delle esigenze economiche di breve periodo, Keynes sposta il livello e trasforma il saldo del bilancio pubblico in uno strumento di politica economica discrezionale.
Keynes sostiene esplicitamente che col crescere del reddito aumenta la percentuale di reddito risparmiata. Siccome non è detto che gli investimenti aumentino nella stessa misura, è possibile che la spesa privata si riveli insufficiente e inadeguata a mantenere il reddito di piena occupazione.
Allora la spesa pubblica deve sopperire a questa carenza di spesa privata ed è opportuno che sia una spesa in disavanzo. Il bilancio pubblico dovrebbe assumere un deficit quando c’è una fase di congiuntura calante per stimolare l’occupazione e l’attività economica; un saldo attivo quando invece c’è un’espansione accelerata, per evitare l’inflazione.
In pratica Keynes sosteneva che: “Non più il pareggio su base annua, come credevano quelli della destra storica e come credevano Luigi Einaudi ed Ezio Vanoni, ma semmai il pareggio su base ciclica, con passivi quando le cose vanno male e attivi quando le cose vanno bene. Così facendo il bilancio si pareggerebbe sopra un certo numero di anni”.
Quello che è importante è che cambia la prospettiva; i primi si ponevano un problema di correttezza nella gestione della cosa pubblica, Keynes si pone un problema di convenienza dal punto di vista della politica economica.
Non starò qui a ricordare tutte le critiche che sono state mosse alla teoria keynesiana, perché sarebbe una chiacchierata di storia del pensiero economico che interessa fino a un certo punto.
Quello che invece, è interessante notare è che le conseguenze non intenzionali della visione keynesiana del bilancio sono state tali che se Keynes fosse oggi vivo sarebbe orripilato dal danno prodotto dalle sue idee. Oggi viene confermata solo una sua profezia, cioè quella che le idee degli economisti e dei filosofi politici, sia quelle giuste che quelle sbagliate, sono importanti. Nel paragrafo in cui Keynes parla dell’importanza delle idee, tra l’altro, profetizza il fatto che la sua teoria non si realizzerà subito, ma dopo parecchio tempo. Infatti 25 anni dopo, nel 1961, anno centenario della morte di Cavour ed anno della morte di Einaudi, è arrivata in Italia una versione di comodo della teoria keynesiana, con le conseguenze che dirò.
Prima di passare a parlare delle conseguenze, vorrei però cercare di rispondere a questo quesito: come mai, dieci anni dopo la teoria di Keynes, cioè nel 1946, due studiosi di economia come Luigi Einaudi ed Ezio Vanoni di fatto suggerivano che non si dovesse tener conto di quell’impostazione, ma bisognasse mantenere viceversa, la prospettiva costituzionale in tema di bilancio pubblico.
Forse non avevano letto Keynes? No di certo, tant’è vero che Einaudi aveva recensito la teoria generale sulla sua rivista. Ciò nonostante, invece di rifarsi alla visione discrezionale del saldo del bilancio pubblico suggerita da Keynes, introdussero nella nostra costituzione una norma che voleva imporre, quantomeno, la tendenza al pareggio del bilancio.
Perché Vanoni ed Einaudi, pur essendo post-keynesiani, preferirono l’ortodossia costituzionale pre-keynesiana? La risposta va trovata negli studi di finanza pubblica tipici della tradizione del nostro paese, studi di tale importanza che, quando è stato attribuito il premio Nobel per l’economia a James Buchanan nel 1986, egli si è rifatto esplicitamente alla saggezza della tradizione italiana di scienza delle finanze.
Ora cercherò di semplificare in modo quasi caricaturale, dogmatico, quello che è un problema complesso; però questa presentazione semplificata e schematica non tragga in inganno perché le conclusioni non sarebbero diverse anche se facessi un discorso più complesso e meno certo.
Einaudi e Vanoni erano contrari alla visione discrezionale del bilancio perché si rendevano conto che: primo, in assenza di regole costituzionali in materia di bilancio, il gioco degli incentivi politici nella concorrenza democratica fra partiti diversi conduce alla crescita illimitata e irrazionale delle spese; secondo, Einaudi e Vanoni erano convinti che, in assenza di regole costituzionali, la possibilità di dar vita a deficit di bilancio avrebbe favorito e rafforzato quella crescita illimitata ed irrazionale delle spese.
Mercoledì 30 novembre scorso, mentre ero a New York alle Nazioni Unite, la Camera ha inserito l’obbligo del pareggio del bilancio nella nostra Costituzione. Questa decisione è inutile, perché quell’obbligo c’era già, vergognosa perché non spontanea ma impostaci “dall’Europa”, pericolosa perché non fissa un limite né alle spese né al prelievo fiscale, equivalendo quindi a una “licenza di uccidere” a favore dello Stato e ai nostri danni.
Le conseguenze del keynesianismo
Nel 1961 arrivò in Italia una versione di comodo della teoria keynesiana confermando la profezia di Keynes secondo cui le idee arrivano con venticinque anni di ritardo.
Un autorevole responsabile della politica monetaria dichiarò che il principio dell’articolo 81 era un principio arcaico; giuristi compiacenti dissero che non era affatto vero che esso imponesse il pareggio del bilancio e che bastava che ci fosse la copertura per il primo anno di vigenza perché il principio fosse rispettato anche se la legge di spesa era pluriennale, e quindi il principio dell’articolo 81 cominciò ad essere aggirato ed abbandonato.
Dal 1961 al 1989, che io sappia, non c’è stato neanche un rinvio formale di leggi prive di copertura finanziaria, alle Camere. Tutto questo con il risultato che siamo passati da 357 miliardi di deficit nel ’61 (1,5%); a 3.222 miliardi di deficit nel ’70 (5,1%); a 34.508 miliardi di deficit nell’80 (989%); 153.780 miliardi di deficit nel 1993 (9,9%). Se il nostro paese rischia la bancarotta finanziaria, questo è dovuto anche alle idee degli economisti, in questo caso quelle sbagliate.
Dal punto di vista della finanza pubblica è importante anche lo stock di debito. Nel 1950 il debito pubblico complessivo, in rapporto al prodotto interno lordo, era pari al 52%; nel 1980 era il 55%, cioè in trent’anni il rapporto debito sul P.I.L. aumentò di soli tre punti.
È grazie alla saggezza di Vanoni ed Einaudi che dal ’50 fino alla metà degli anni ’60 l’incidenza è andata diminuendo; poi, quando hanno cominciato a manifestarsi le conseguenze della teoria keynesiana, il rapporto del debito sul P.I.L. è iniziato ad aumentare in conseguenza dei maggiori deficit. Nel 1980 il rapporto era del 55%, nel 1993 ha superato il 120%, cioè dal ’50 all’’80 l’incidenza è aumentata di tre punti e dall’’80 al ’93 è di sessantacinque punti: tre punti di P.I.L. in più in trent’anni e sessantacinque punti di P.I.L. in poco più di tredici anni.
Voglio anche ricordare che non è vero che quest’aumento del debito sia stato dovuto a carenza di entrate. Le entrate totali del settore pubblico si sono più che quintuplicate fra l’80 ed il ’93: in quegli anni, mentre il reddito reale aumentava del 2,5% all’anno, le entrate totali del settore pubblico, in termini reali, aumentavano del 5,5% all’anno. E ancora, dal 1990 al 1993 l’aumento delle entrate ha assorbito l’ottanta per cento dell’aumento del prodotto.
La spiegazione di ciò è molto semplice: la crescita incontrollata della spesa pubblica, come prevedevano Einaudi e Vanoni. Se dal 1980 al 1993 le spese del settore pubblico fossero in aumento in modo da proteggerne il valore reale, ovvero in misura proporzionata alla crescita del reddito ma non oltre, nel 1993 il bilancio avrebbe avuto un saldo attivo e il debito pubblico avrebbe rappresentato il 16% del P.I.L., anziché oltre il 120%. Una misura modestissima, di contenimento non del livello assoluto della spesa, ma della sua rapidità di crescita, sarebbe bastata per eliminare del tutto il problema dell’indebitamento in Italia in soli tredici anni. Non sarebbe stato necessario licenziare nemmeno un dipendente pubblico, ridurre lo stipendio a nessuno, né rinunciare a nessuna delle tante iniziative del nostro settore pubblico, sarebbe bastato un minimo di continenza nella rapidità di crescita della spesa. Questo non è accaduto e certamente la colpa non è del contribuente italiano.
Nel 1976 Milton Friedman propose l’introduzione di una festa nazionale, che io poi ho suggerito in Italia, a data variabile, che festeggi il “Giorno dell’Indipendenza personale”, cioè il giorno in cui l’italiano medio smette di lavorare per lo Stato e comincia a lavorare per sé e per la sua famiglia.
Nel 1960 lavoravamo per lo stato dal 1° gennaio al 29 aprile, nel 1970 fino al 12 maggio, nel 1980 fino al 7 giugno, nel 1990 fino al 20 luglio e nel 1993 fino al 4 agosto, adesso siamo andati persino oltre!
Grazie alla straordinaria parsimonia delle nostre famiglie, che sono tra le più risparmiatrici del mondo, siamo riusciti fino a ora finanziare, in modo non inflazionistico e sull’interno, un disavanzo enorme, il cui danno maggiore è stato il calo degli investimenti e la fine dello sviluppo. Il risparmio delle famiglie che è servito a finanziare il deficit non ha potuto essere investito. I privati, infatti, prendono a prestito soprattutto per investire, invece in Italia il disavanzo pubblico è stato destinato soprattutto a spese correnti, a consumi: quando c’è un disavanzo, si sposta il risparmio dall’investimento verso il consumo e ciò riduce il tasso di sviluppo.
Quest’anno, cade l’ottantacinquesimo anniversario di un famoso scritto di Keynes “La fine del lasciar fare”. A me sembra che dopo tutti questi anni abbiamo imparato che è pericoloso lasciar fare al governo e che bisogna abbandonare la prospettiva discrezionale in tema di bilancio e recuperare la saggezza della prospettiva costituzionale.
Per dirla con Thomas Jefferson: “In questioni di potere smettiamola di parlare di fiducia negli uomini, ma mettiamoli in condizioni di non nuocere con le catene della costituzione. Se mi fosse possibile, mi affiderei a un solo emendamento per ricondurre il potere del governo federale a quello che è suo costituzionalmente: gli toglierei il potere di indebitarsi”.
Manovre e riforme
La lezione di Minghetti, di Einaudi, di Vanoni resta valida ancora oggi. Tuttavia, essa è legata anche al livello della spesa pubblica: il pareggio del bilancio è sacrosanto quando le spese totali sono inferiori al 10% del reddito nazionale, come ai tempi di Minghetti, pari al 10%, com’erano nel 1900, al 30%, come nel 1946, ma non lo è affatto quando superano il 52%, com’è oggi. Il finanziamento di questi livelli di spesa pubblica è questione del tutto secondaria: non importa se con l’indebitamento o con le imposte. L’imperativo oggi non è il pareggio del bilancio, ma la drastica riduzione delle spese pubbliche.
Luigi Condorelli, maestro di clinica medica, sosteneva che la condizione di malato non è stabile. Difficile dargli torto: prima o poi finisce la malattia oppure il malato! Ora immaginate un malato cui il medico curante prescrive un farmaco salvavita. Il paziente lo prende, ma la malattia continua. Il medico decide che la dose era insufficiente e ne prescrive una maggiore. Niente, il malato non solo non guarisce, ma peggiora. Imperterrito il medico continua a prescrivere lo stesso farmaco e continua a prescriverlo, diciamo, per diversi anni. Il malato continua a esserlo, apparentemente smentendo la tesi del professor Condorelli. Per quanto mi riguarda, se fossi stato io al posto del malato, avrei immediatamente cambiato medico, sperando di trovarne uno meno maledettamente cocciuto del primo.
Fuor di metafora, a partire almeno dagli anni Settanta il malato (i conti pubblici italiani) ha ricevuto dai medici la stessa medicina (manovre) in dosi sempre più massicce ma la malattia, lungi dall’essere curata, ha continuato a peggiorare. Non sarebbe il caso di cominciare a prendere in considerazione la possibilità che la cura non sia proprio quella adatta al caso? Eppure, il coro unanime dei padroni del vapore continua a recitare la stessa, immutabile, solfa: occorre una manovra, occorre subito, anzi forse non basta, dovremo presto farne almeno un’altra o forse due.
Questa logora sceneggiata si protrae da oltre quarant’anni ma gli attori sono instancabili, ripetono la stessa farsa senza battere ciglia. Credo che il momento di finirla sia giunto ormai da troppi anni e mi rifiuto di prestarmi a protrarre questo indegno accanimento terapeutico, forse il caso più eclatante di malasanità, in un Paese in cui tanti altri casi continuano a sottolineare l’inefficienza del nostro sistema sanitario nazionale.
Le amministrazioni pubbliche – governo centrale, amministrazioni locali, enti previdenziali, autorità autonome e quant’altro – sono in realtà un sistema di trasferimenti: si finanziano prelevando quattrini dalle tasche di alcuni italiani per trasferirli in quelle di altri italiani. Come detto, le dimensioni di questi trasferimenti sono aumentate enormemente nel corso del tempo.
Cosa giustifica questa spaventosa crescita? Certamente non la lotta alla povertà: eravamo più poveri nel 1900 che non negli anni Cinquanta e più poveri nei Cinquanta che non adesso. Del resto, chi crede che le spese delle amministrazioni pubbliche abbiano davvero lo scopo di alleviare il disagio dei nostri concittadini meno fortunati? Se il 51% del reddito nazionale andasse al 20% più povero della popolazione, lo renderebbe immediatamente agiato.
Le cose sono assai meno semplici, bisogna considerare altri elementi. Primo: quanto la collettività riceve ammonta a molto meno di quanto la collettività deve versare all’apparato di trasferimenti pubblico, per via dei costi di trasferimento (burocrazia, politica, corruzione, eccetera). Secondo: Chi paga non necessariamente appartiene alle fasce di reddito più alte, chi riceve non necessariamente a quelle più basse. Il finanziamento dell’università, della sanità, e degli enti locali molto spesso proviene dalle tasche di contribuenti a reddito medio - basso o basso, e va in quelle di persone non indigenti, e la redistribuzione diventa regressiva. Terzo: i costi dell’apparato pubblico non vanno ai compiti essenziali dello Stato (per Difesa ed Esteri spendiamo soltanto poco più dell’uno per cento del pil). L’indennità parlamentare mi colloca nell’uno per cento più ricco dei contribuenti (ineffabile efficienza del nostro sistema tributario!) eppure ricevo “gratis” i servizi e le medicine fornite dal sistema sanitario nazionale: tassiamo il 99% meno abbiente per dare all’uno per cento più ricco!
Infine, ma non meno importante, la percentuale di spesa pubblica sulla quale il governo ha, a legislazione invariata, potere d’intervento rappresenta una percentuale molto ridotta del totale. Le spese per interessi, per i dipendenti pubblici, per le “prestazioni sociali” (assai deludenti e niente affatto sociali) sono incomprimibili e rappresentano oltre i quattro quinti del totale. Ha senso tentare di ridurre il 100% agendo solo sul 20%? A me non sembra.
L’Italia non ha bisogno di manovre ma di riforme: non possiamo permetterci l’insensato numero di livelli di governo locale né il loro irragionevole numero, non possiamo continuare a mandare in pensione gente in età lavorativa, non possiamo continuare a bruciare cifre astronomiche in un servizio sanitario nazionale inefficiente, pletorico e corrotto, e così via. Non serve a nulla gestire l’esistente, bisogna cambiarlo.
L’Europa e noi
Spero mi perdonerete se torno su un tema che ho già più volte trattato: l’euro e il suo (e nostro) futuro. Ho sempre criticato la moneta unica europea fondamentalmente per tre ragioni: il modo in cui è stata introdotta, la mancanza di una vera costituzione monetaria e di un credibile statuto fiscale.
Cominciamo dagli ultimi due motivi della mia opposizione: I trattati di Maastricht dicono che la Bce è indipendente (da chi?) e che deve garantire la stabilità dei prezzi ma nulla dicono su cosa accade nel caso in cui fallisca nel perseguimento del suo obiettivo istituzionale. Evidentemente gli estensori erano convinti che il responsabile della politica monetaria europea dovesse rispondere soltanto a Dio del suo operato.
Quanto allo statuto fiscale, i trattati prevedono salate multe per quegli Stati membri che non rispettano i parametri previsti per lo stock di debito e per il deficit annuo. Al momento dell’introduzione dell’euro un solo Stato rispettava quei parametri: il Lussemburgo! Quasi tutti gli altri avevano sia un debito sia un deficit superiori al consentito o avevano truccato i conti per fare finta di essere in regola. Nata all’insegna di questa “elasticità” d’interpretazione delle norme dei trattati, la costituzione fiscale non aveva prospettive di un glorioso futuro. Infine, infliggere multe a un paese insolvente non è certo il modo migliore per trarlo fuori dai guai.
Il modo d’introduzione dell’euro è stato semplicemente insensato: prendere un pezzo di carta che non è mai stato usato prima come moneta, imbrattarlo con figure e cifre, e decretare che il suo potere d’acquisto è esattamente pari a 1936,27 lire oggi e per l’eternità è idea che può albergare soltanto nella mente di un analfabeta di economia monetaria. I tecnocrati erano caduti nella trappola cara ai sovrani medioevali, quella del valor impositus, che il valore di una moneta possa a essa venire imposto dal sovrano. Purtroppo per noi, quella luciferina presunzione ha fatto la fine del mito medioevale, venendo smentita dalla realtà.
La moneta unica europea, secondo i suoi fautori, avrebbe dovuto tenere unita l’Europa; la realtà contemporanea dimostra che ha fatto la cosa opposta. Se la signora Merkel continuerà nel suo caparbio tentativo di salvare l’euro (che i tedeschi chiamano “teuro” cioè rincaro), imporrà all’Europa una recessione che la disgregherà, se invece vuole salvare l’Europa deve accettare il fallimento della moneta unica.
La cancelliera non ha titolo per impartire lezioni di ortodossia fiscale a nessuno: anche la Germania ha pesantemente barato sui conti. Lo denuncia un articolo del Monde: ”Non è che la Germania sia proprio questo modello di virtù.” Il debito, infatti, supera il tetto del 60% di Maastricht, e il dato ufficiale è truccato, per via del modo in cui Berlino ha contabilizzato i miliardi immessi dopo la crisi del 2008. Queste somme, secondo Il Foglio (22 novembre), sono state collocate fuori dal bilancio in un fondo speciale. “Senza quest’astuzia, secondo il Monde, il deficit tedesco non sarebbe stato del 3,2% ma del 5,1%, cioè superiore a quello francese.”
Lasciando la cancelliera ai suoi trucchetti, il vero problema è un altro. L’Italia, adottando la moneta unica, ha delegato la sua sovranità monetaria alla Bce, ma non ha delegato a nessuno la sua sovranità di politica economica e fiscale. Nessuno, men che meno la Bce, ha il diritto di dirci cosa possiamo e cosa non possiamo fare, né tanto meno imporci l’agenda di politica economica.
So che non è politicamente corretto citarlo, ma sono pienamente d’accordo con l’eurodeputato inglese Nigel Farrage che al Parlamento europeo si è rivolto a Barroso (presidente della Commissione), Rehn (commissario economico) e Van Rompuy con queste parole: “Di chi è la responsabilità del disastro attuale? La risposta è nessuno, perché nessuno di voi è stato eletto. Nessuno di voi ha una legittimazione democratica per il ruolo che ricopre in questa crisi. (…) E devo dire, signor Van Rompuy, che quando ci siamo incontrati per la prima volta un anno e mezzo fa mi ero sbagliato sul suo conto. La definii un assassino silenzioso delle democrazie degli Stati nazionali. Non è più così, lei è piuttosto rumoroso nel suo operare. Lei, non eletto, è andato in Italia e ha detto: ‘Questo non è il tempo di votare, è il tempo di agire’. Ma chi le dà il diritto, in nome di Dio, di dire queste cose agli italiani?”.
Farrage ha ragione ed è triste che sia un inglese a difendere la sovranità dell’Italia, mentre noi ci siamo astenuti dal farlo. L’Europa, si sostiene, ci ha chiesto di darci un governo di tecnici sostenuto da larghe intese. Confesso la mia ignoranza: non mi risulta che mai nessun paese, con una sola eccezione, si sia dato un governo tecnico. L’eccezione è nota: l’Italia nel 1995 si diede (più corretto sarebbe dire che si vide imporre dal capo dello Stato) un governo tecnico, guidato dal ministro del Tesoro del governo precedente, Lamberto Dini. Ho cercato invano di immaginare cosa accadrebbe negli Stati Uniti d’America se venisse proposto un presidente tecnico e sono sempre arrivato alla conclusione che l’ipotesi avrebbe scatenato 300 milioni di pernacchie. Lo stesso vale per l’Inghilterra, la Francia, la Germania e il resto del mondo. Decisamente siamo in presenza di una creazione della sconfinata fantasia italiana.
Diceva Chesterton che governare è come scrivere una lettera d’amore o soffiarsi il naso: dobbiamo farlo noi, anche se lo facciamo male, non possiamo certo delegarlo ad altri. Noi italiani, invece, riteniamo che altri possa soffiarci il naso, scrivere per noi alla nostra donna o governarci. Il fatto è che democrazia non significa governo dei più qualificati; se fosse questo il suo significato nessuno ricorrerebbe alle elezioni che non garantiscono affatto che saranno scienziati, tecnici o vincitori del Nobel a risultare i primi. Tutte le democrazie, per essere certe che a vincere sarà il più qualificato, invece di costosissime elezioni, bandirebbero pubblici concorsi per titoli ed esami ai posti di governo. Solo così avremmo la ragionevole speranza che non andranno al potere persone prive dei requisiti tecnico-scientifici per utilizzarlo al meglio.
Personalmente sono sempre stato dell’idea che “I governi cosiddetti amministrativi o tecnici sono sempre stati i governi più seriamente e pericolosamente politici che il Paese abbia avuto. Il loro preteso agnosticismo è servito sempre e soltanto a coprire, a consentire o a tentare le più pericolose manovre contrarie alle necessità e agli sviluppi di una corretta vita democratica. (…) Governo di affari, dunque, e dopo di esso un mutamento non nel senso limpidamente indicato dalla consultazione elettorale, ma nella direzione opposta.” Queste parole sono state pronunciate alla Camera da uno che aveva un rispetto per la sovranità popolare che manca ai suoi epigoni: Palmiro Togliatti (9 luglio 1963).
Una cosa è certa: questa Europa, l’unione dei Van Rompuy, delle direttive sulla curvatura delle banane e la lunghezza dei preservativi, non ha nulla da spartire con l’Europa nella quale credevano i padri fondatori. Per questo grido, senza paura di scomuniche, quest’Europa non mi piace, rivoglio l’Italia!
P. S. Come vedete, è il frutto di un "taglia e incolla" che ha riciclato testi a voi già noti.
Il nostro Paese è condizionato da tradizioni culturali e comportamenti sociali fortemente refrattari a rivoluzioni sia di tipo liberale che di specie massimalista.
Il rapporto tra il cittadino-contribuente e la Pubblica Amministrazione non ha avuto un andamento di tipo fiduciario, ma di sudditanza e timore da parte del primo rispetto alla seconda.
La vera rivoluzione liberale può esserci solo se la maggior parte dei cittadini-elettori è consapevole di rappresentare il proprio insieme agli altri.
Purtroppo le “convergenze parallele” sono ancora presenti nelle menti di molti, politici e non.
Auguri di Buon Natale.
Onorevole,
Cosa deve essere il colante in questo momento?
Essere contra la progressività delle tasse?
Per il pareggio di bilancio?
….?
Basati su questi punti, non sarebbe importante un’entità che unisca tutti nel piano economico, anche se per esempio Dott. Magid Allan ha diversità in altre sfere?
Caro Martino,
voti un NO gridato a questa manovra illiberale.
(retroattivita’ pene, estratti conto bancari, etc.). Uno Stato di Diritto non puo’ fare certe cose. E’ meglio avere a che fare con Toto’ Rina, almeno lui i patti li rispetta.
Per non parlare della ricetta economica totalmente controproducente.
Se vota si non si potra’ piu’ guardare allo specchio e sara’ partecipe del piu’ grosso vulnus alla nostra democrazia dal 1945. Ha ragione Ostellino quando dice che sembra di esssere nel 1922.
VOTI NO, almeno lei.
DB
adesso pero’ i dirigenti del pdl devono dire chiaramente che se il governo Monti in un prossimo futuro (probabilmente molto prossimo…) dovesse ripresentarsi in parlamento con nuove manovre di aumento generale della pressione fiscale il pdl non le voterà! E che se ci dovesse essere la fiducia questa non verrà data! Devono dirlo chiaramente, non ci sono piu’ spazi per nuovi aumenti della pressione fiscale sui cittadini, abbiamo da tempo oltrepassato la misura, se servono risorse che si tagli strutturalmente la spesa! Alrimenti niente fiducia e il governo vada a casa
@Adriano
Grazie per i complimenti.Sì,sono un sostenitore della scuola austriaca di economia che ritengo essere quella che oggi meglio riesce a spiegare i fenomeni legati ai continui cicli economici di espansione e recessione dell’economia.Infatti sarei favorevole ad abolire le banche centrali e a liberalizzare l’emissione della moneta.Il che significa passare dall’attuale sistema basato sul fiat-money con moneta a corso forzoso,ad un sistema di free-banking con moneta offerta in un regime di libero mercato.
w l’Inghilterra! Ancora una volta, l’ennesima, potrebbero essere loro la nostra ancora di salvezza…
Premessa: mi scuso con il Prof. Martino e tutti i partecipanti a questo blog se ‘posto’ un po’ troppo. Non lo faccio per ‘dire sempre la mia’ ma perchè, da emigrante agli antipodi, il piacere di scambiare opinioni e contributi con i connazionali intelligenti e di formazione liberale che trovo qui è un desidero irresistibile.
Ringrazio tutti per la pazienza.
Desidero complimentarmi con Manuel per i sui interventi, che sottoscrivo in pieno, e che contribuiscono a fare chiarezza sulle tante falsità che girano creando solo confusione e ‘mascherando’ la vera natura dei problemi in cui ci troviamo.
Vorrei aggiungere una chiarificazione ed un’opinione.
1)Per chi non sapesse cosa significhi ‘fiat money’, potremmo tradurre con ‘valuta a corso legale’ o ‘valuta a a corso forzoso’, cioè il cui valore è stabilito per legge dalla nazione che la conia.
2)E’ mia opinione che la valuta a corso forzoso di per sè sarebbe teoricamente una cosa intelligente, specie al giorno d’oggi grazie alle moderne tecnologie informatiche. Una valuta a base aurea avrebbe infatti dei costi di gestione molto più elevati.
Purtroppo questa sembra solo teoria!
I problemi connessi a questo sistema, e che Manuel ha esposto egregiamente, derivano dalla sua ingestibilità pratica per l’intrinseca centralizzazione. Aggiungiamoci anche il fatto che una banca centrale si trova volente o nolente ad essere sottoposta alle pressioni di governo e sistema bancario e la frittata è fatta. Abusi ed il ricorso ad essa come ‘lender of last resort’ (paroloni all’ordine del giorno) sono difficili se non impossibili da scongiurare.
Ma se anche la banca centrale fosse guidata da persone come Einaudi o Friedman, gli errori sarebbero sempre possibili!
Ed essi non possono che risultare devastanti trattandosi di enti che gestiscono una cosa colossale con potere assoluto.
L’analisi di Manuel sembra ispirarsi, non so se volutamente o meno, alla cosiddetta Scuola Austrica.
I suoi esponenti (forse anche qualcun altro ma non ne sono al corrente) hanno sollevato una bella domanda del tipo:
Ma se siamo convinti che il libero mercato sia il sistema che alla prova pratica si dimostra il migliore, perchè il sistema monetario deve essere centralizzato?
E’ una opinione che mi sento di condividere.
Mi riprometto di fare una ricerca su come la pensasse in merito Milton Friedman, che di questa materia era forse il massimo esperto, e vi faro’ sapere.
PS: a meno che il Prof. Martino non mi anticipi visto che lui di ricerche in merito non ne ha bisogno.
Condivido le preoccupazioni per la “Stasi” tributaria che si sta costituendo.
Inoltre si sta creando un forte clima di invidia e di odio, una vera e propria caccia al benestante o al ricco, additati come sicuri evasori fiscali o comunque persone a cui bisogna far pagare a caro prezzo il proprio successo economico. Ed allora si sentono tante proposte per aumentare le tasse contro i redditi più alti e nessuno che parli di ridurre la spesa pubblica.
…
Una riforma delle pensioni andava fatta, ma ancora più importante sarebbe una riforma sanitaria che abolisca questo sistema sanitario nazionale uguale per tutti per creare un sistema dove strutture pubbliche e private entrino in concorrenza tra loro, e dove i cittadini possano liberamente decidere dove farsi curare in base a chi propone il migliore rapporto qualità/prezzo. Chi ha i soldi si paga una assicurazione sanitaria, chi non ce li ha gliela paga lo Stato. Ed allora vedremo che i costi della sanità in certe regioni scenderanno, visto che oggi in certe zone del sud le protesi e prestazioni sanitarie costano da due a dieci volte in più rispetto a certe regioni del nord. Già oggi dove meno si spende c’è più efficienza, meno sprechi e meno corruzione. Ed allora i costi per la sanità scenderanno nettamente con un gran risparmio per lo Stato, a cui deve seguire una immediata riduzione delle tasse.
@Donabbondio
Concordo in pieno,dare la possibilità allo stato di spiare nei conti correnti dei cittadini è una cosa semplicemente immonda(degna di 1984 di Orwell) che oltre alle evidenti implicazioni di carattere morale sul fatto che la privacy del cittadino venga impunemente violata,porterà anche a degli abusi gravissimi da parte del fisco che grazie all’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente su cui si basa l’attuale normativa fiscale e ad altre norme illiberali partorite dall’ex ministro Tremonti come il “solve et repete”(cioè prima paghi poi contesti) potrà colpire in modo indiscriminato tutti i cittadini con la conseguenza che ci andranno di mezzo non solo coloro che hanno violato la legge,ma anche quelli che in vita loro non hanno mai evaso neanche un centesimo.Tutto ciò è semplicemente criminale,ormai lo stato di diritto non esiste più,c’è solo il diritto dello stato di fare cassa sempre e comunque per mantenere intatte clientele e privilegi vari (di tagliare la spesa non se ne parla proprio).
Io penso che se al pdl e Berlusconi( che si sono professati per anni come difensori delle libertà del cittadino di fronte alla prepotenza del potere politico),sia rimasta ancora un pò di dignità,devono opporsi a questa indecenza in tutti i modi,anche minacciando di non votare la manovra in caso di mozione di fiducia.
@Antonio
Il signoraggio così come viene descritto da certi personaggi che fanno propaganda sul web,è sostanzialmente una bufala.Il debito pubblico non è creato dalle banche centrali che stampano moneta,ma semplicemente dal fatto che lo stato spende sempre più di ciò che incassa.Inoltre le banche centrali non guadagnano sulla differenza tra il valore nominale e quello intrinseco della moneta ma solo sulla differenza tra l’interesse applicato e i costi di stampa e di produzione della moneta.Tieni presente che gli utili della BCE sono poi ripartiti a tutte le banche centrali degli stati che compongono la zona euro e che queste ultime sugli utili percepiti pagano le imposte che vanno direttamente agli stati nazionali.Alla fine,quindi,gli utili conseguiti dalle banche centrali che dovranno poi essere ripartiti agli azionisti ammontano a qualche migliaia dieuro all’anno.Credimi,il problema non’è il signoraggio bancario ma il sistema monetario basato sul fiat-money che rappreasenta la causa reale dei continui cicli economici di espansione e recessione dell’economia e da cui dipende anche la crisi economica dei mutui subprime inizata negli Stati Uniti nel 2007(in europa poi la cosa è stata aggravata dalla crisi dei debiti sovrani) e che ad oggi non abbiamo ancora superato.
Caro Martino,
Dispiace che il suo blog sia cosi’ saltuario e di difficile utilizzo. Spero leggera’ queste righe prima del voto.
Volevo solo dirle che mi aspetto che vada in parlamento e, votando NO, dica AD ALTA VOCE al Professor Monti che sta facendo scempio dello Stato di Diritto.
Che una Democrazia Liberale non puo’ arbitrariamente cambiare pene e sanzioni retroattivamente. Che una Democrazia Liberale non puo’ autorizzare migliaia di Suoi dipendenti, senza alcun controllo/autorizzazione preventiva, a guardare negli estratti conto bancari – cioe’ nella vita – di milioni di persone. Che quando uno Stato viola in modo cosi’ plateale questi elementari diritti civili, questo Stato perde ogni legittimita’ democratica. Questa e’ la storia degli uomini liberi.
Nessuna emergenza economica giustifica questo scempio.
Le emergenze economiche si superano – tra qualche mese/anno anche frau Merkel forse riuscira’ a capire che la strada maestra e’ una graduale uscita della Germania dall’euro. Le violazioni dei contratti sociali rimangono nella memoria collettiva per generazioni e possono portare, presto o tardi, alla disgregazione totale e al fratricidio.
I nostri padri hanno lottato duramente per 70 anni – anche Suo padre Gaetano fu in prima fila – per costruire quel poco di democrazia liberale che abbiamo.
Non lasciamo che un professore in grisaglia – che tanto ha studiato ma che poco ha capito – butti la nostra Democrazia nel cesso per una manciata di miliardi?
Cordiali saluti.
DA
Ricordo ancora quando, molti anni or sono, al termine dei tre giorni di visita di leva, ci diedero la “paghetta”.
Rimasi sbalordito alla vista di quelle banconote da mille lire bellissime: lucide, coloratissime, nuovissime.
Ricordo anche che rimasi ancora più sbalordito da un’altra loro staordinaria proprietà: tutti i numeri seriali erano in perfetto ordine progressivo non solo per me, ma dalla prima all’ultima recluta.
Invidio un po’ (via sto scherzando!)i dipendenti pubblici di Chavez: staranno anche loro provando quella sensazione bellissima?
Gentile Professore,
Da più parti si sente sempre più spesso parlare del c.d. signoraggio bancario, come origine di tutti i mali che affliggono la società globalizzata. In parole povere, si dice, il fatto che le banche centrali, FED, BCE, stampino il denaro a costo quasi pari allo zero o, comunque, al costo di pochi centesimi al pezzo, e lo vendano ai governi al valore nominale riportato dalle banconote, produce l’indebitamento progressivo degli stati, costretti a vessare sempre di più i cittadini con tributi sempre più alti per far fronte a questo indebitamento. A riprova di quanto affermato, di recente ho letto che Chavez in Venezuela avrebbe nazionalizzato la Banca centrale, e quindi la produzione della cartamoneta, e, perciò solo, sarebbe riuscito ad aumentare le retribuzioni degli impiegati pubblici del 30%. Ora posto che io, come la maggior parte degli italiani, sono completamente digiuno di economia, potrebbe cortesemente chiarire le idee a me e agli italiani che la seguono, spero tanti, in subjecta materia? Grazie.
Antonio Maria Cardillo
Gentile Professore,
Da più parti si sente sempre più spesso parlare del c.d. signoraggio bancario, come origine di tutti i mali che affliggono la società globalizzata. In parole povere, si dice, il fatto che le banche centrali, FED, BCE, stampino il denaro a costo quasi pari allo zero o, comunque, al costo di pochi centesimi al pezzo, e lo vendano ai governi al valore nominale riportato dalle banconote, produce l’indebitamento progressivo degli stati, costretti a vessare sempre di più i cittadini con tributi sempre più alti per far fronte a questo indebitamento. A riprova di quanto affermato, di recente ho letto che Chavez in Venezuela avrebbe nazionalizzato la Banca centrale, e quindi la produzione della cartamoneta, e, perciò solo, sarebbe riuscito ad aumentare le retribuzioni degli impiegati pubblici del 30%. Ora posto che io, come la maggior parte degli italiani, sono completamente digiuno di economia, potrebbe cortesemente chiarire le idee a me e agli italiani che la seguono, spero tanti, in subjecta materia? Grazie.
Antonio Maria Cardillo
Caro D’Onofrio,
il “divorzio” (inutile, la Banca d’Italia non aveva alcun obbligo di acquistare titoli pubblici) pose fine alla monetizzazione del debito e all’inflazione, ma questo non implicava necessariamente l’aumento dell’indebitamento: sarebbe stato sufficiente accrescere meno rapidamente le spese.
Grazie per il commento e molti auguri,
am
Gentile Professore,
Mi permetto, come suo ex studente, di richiamare la sua attenzione su un particolare: come efficacemente riportato nella sua relazione, fino al 1980 il debito pubblico non subisce eccessive oscillazioni rispetto al prodotto interno lordo, successivamente si è scatenata la furia degli elementi ed è accaduto quello che è sotto i nostri occhi. Questo è il freddo resoconto dei numeri. E ciò che è accaduto successivamente è attribuibile, secondo la sua analisi, al mancato rispetto del dettato costituzionale.
All’alba degli anni Ottanta, però, si consuma il celebre divorzio tra Tesoro e Banchitalia: possiamo essere sicuri che si tratti solo di una coincidenza? e che, quindi, la non obbligatorietà degli acquisti dei titoli di Stato da parte della Banca Centrale, non c’entri assolutamente con la crescita spropositata del debito pubblico?
Con immutata stima
Mario Michele D’Onofrio
Anche l’italia ha avuto i suoi vantaggi, non dimentichiamocelo! Grazie ai bassi tassi di interesse, se avessimo messo in campo riforme vere invece che manovre insulse, intervenendo seriamente sulla spesa pubblica come dice Martino, in 10 anni avremmo decapitato il debito pubblico! Ora invece lo decapiteremo andando in default!
L’euro è stato fatto consensualmente perchè tutti credevano di trarne dei vantaggi. Era vero? NO! Avevano ragione gli euroscettici. O meglio: era vero … nel breve periodo.
E’ stato l’ennesima illusione di poter risolvere i problemi con poca fatica (qualche manovrina, qualche cartolarizzazione, qualche eurotassa). Ora che i problemi sono venuti al pettine ci incolpiamo a vicenda.
Molti economisti di altissimo livello affermano che il problema è la mancata possibilità della BCE di agire come “lender of last resort” come la FED, per l’opposizione dei tedeschi. Adesso lo dice pure Berlusconi.
Non so come la pensi in merito il Prof. Martino e magari non sarò d’accordo con lui, ma per me questa è la madre di tutte le buffonate.
A parte che la BCE lo sta già facendo, comprando i titoli di stato dei paesi in difficoltà, tra un po’ sarà costretta a farlo massicciamente.
Questo risolverà i problemi? Certo… nel breve periodo, finendo però con l’aggravarli nella sostanza.
Illudiamoci una volta in più di poter risolvere i problemi in modo semplice e imbroglione (“kicking the can down the road” come dicono all’inglese).
Manovra Monti.
A Monti bisogna concedere un po’ di tempo sperando che le azioni fatte fin qui siano interventi tampone per l’emergenza. Può darsi che ci stupisca positivamente in futuro.
“…la manovra andava fatta altrimenti non avremo più potuto pagare gli stipendi…”.
Veramente mi aspetto che qualche stipendio cominci a non pagarlo più sul serio, per esempio le migliaia di forestali calabresi dimenticati da tutti.
Una piccola doverosa puntualizzazione.
Non penso neppure lontanamente che tutti i banchieri, centrali o meno, siano dei lestofanti. Ce ne sono, come in tutti i campi, ma penso che siano solo una piccola minoranza.
Personalmente credo che con gli “occupy Wall Street” o il populismo alla Beppe Grillo non si risolvano i problemi, semmai se ne creino di nuovi.
Ho voluto estremizzare il discorso per un motivo: quante persone stanno cominciando a ragionare in questi termini? Se la situazione peggiorerà, e peggiorerà, ogni bazzecola politico-finanziaria causerà reazioni sempre più estreme.
Quanto manca perchè comincino a rotolare le teste? I venti di guerra già soffiano. Molti di noi italiani incolpano i tedeschi anche delle colpe che non hanno! Immaginate cosa i tedeschi stiano pensando di noi! Idem per inglesi, francesi, spagnoli e così via.
Concordo col Prof. Martino: la moneta unica è stata fatta da cani! Ma, siamo sinceri, pensiamo proprio che i problemi in cui ci troviamo dipendano dall’euro? I tedeschi hanno tratto vantaggio grazie alla accresciuta competitività delle esportazioni? Palese! Gli vogliamo dichiarare guerra per questo? Dipende da questo la crisi?
@Manuel
A me piace essere spiccio e sempliciotto.
La prima parte del tuo discorso è giustissima ma per niente in contrapposizione con quello che ho detto io.
Limitandoci a Bankitalia. Essa è sì un istituto di diritto pubblico (almeno formalmente secondo la Dir. CE 89/44), ma non è un ente pubblico! La proprietà è quasi interamente privata ed in mano alle banche (l’elenco degli azionisti lo si trova sul sito internet della stessa).
Ma è regolata da una legge dello Stato! E cosa o chi non lo è al giorno d’oggi?
Pur essendo un ente di diritto pubblico, l’elenco degli azionisti è stato sconosciuto al… pubblico fino al 2004: i “proprietari” banche sono stati scoperti scorrendo i loro bilanci.
L’elenco “segreto” è poi stato pubblicato su… “Famiglia Cristiana”!!! (E che è? Una lotta tra Vaticano e massoneria?)
Fino al 2006 l’articolo 3 dello Statuto di Bankitalia solennemente così recitava:
“In ogni caso dovrà essere assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della Banca da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da enti pubblici”.
Ah sì??? Peccato che la distribuzione delle quote “segrete” sia rimasta sostanzialmente la stessa dal 1948 ad oggi, essendo cambiata praticamente solo a causa delle fusioni/acquisizioni bancarie.
Ma le Istituzioni dello Stato questo lo sapevano? A Ciampi gli avranno tolto dalla testa la SIM di direttore di Bankitalia quando è diventato Presidente del Consiglio!
E perché le Istituzioni non hanno esercitato la “Governance” almeno per dirgli: “Guardate, l’articolo 3 del vostro Statuto dice il falso… almeno cambiatelo”.
Eh, no! L’indipendenza della Banca d’Italia dal potere politico è sacra!
Siamo alle solite: Capitalisti per sé e Socialisti per tutti gli altri.
Infatti adesso l’art. 3 dello statuto è cambiato e dice in soldoni che delle loro quote di proprietà ci fanno quello che gli pare e piace!
Piano! Il Governatore è nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri!
Certo! “… sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d’Italia” (art 17 dello Statuto)!
E da chi è nominato il Consiglio Superiore? Indovina: dall’assemblea degli “azionisti”.
Ma per forza! Non possiamo mica metterci un politico! Sono finiti i tempi di Einaudi!!!
Ci vuole una persona di alto profilo, di assoluta integrità e con profonde conoscenze di economia! Una eminenza grigia!
Non vorrete mica che ci mettiamo uno come Martino! Non è all’altezza!
Non lo vorrete mica paragonare ad un Fazio? Lui sì che sapeva esercitare il controllo del sistema bancario!
Riguardo alla grandiosa FED… lasciamo perdere. O quasi paura di fare ricerche!
In conclusione:
poiché le Banche Centrali sono istituti di diritto pubblico, è del tutto IRRILEVANTE se sono strutturate come società per azioni (con proprietari privati). Potremo anche avere proprietari come Lucio Gelli, o Totò Riina o perfino Banca Mediolanum (eeh NO eeh! Banca Mediolanum proprio NO!) e tutto filerebbe liscio come l’olio tanto i Presidenti sono scelti dal Governo (su una rosa di nomi proposti…).
E tanto poi… la lista dei “proprietari” è segreta… No mannaggia, Famiglia Cristiana ci ha sgammato! Te possino!
Che le teorie Keynesiane siano fallite non c’è dubbio, in base a quelle idee con la nostra spesa pubblica (52% PIL) a quest’ora dovremmo essere il paese più ricco del mondo. Ma non tutti se ne sono accorti, molti danno la colpa della crisi al “liberismo”, Bersani a luglio aveva proposto di “fare l’1% di deficit per finanziare la crescita”…e Monti ieri con la stampa estera ha detto che per certi versi bisogna ispirarsi alle socialdemocrazie scandinave, proprio quelle dove niente vi è di giusto al di fuori di ciò che è stabilito per legge..
A quanto pare il medico ha ricominciato a prescrivere la stessa medicina: tasse ! Quelle sulle case saranno davvero dolorose, ma quelle sulla benzina le definirei criminali. Un aumento di 9.9 centesimi su benzina e 13.6 su gasolio da subito (IVA compresa), e dal 1° gennaio 2013 ci sara’ un ulteriore aumento di 5 centesimi….da aggiungere poi un possibile aumento dell’IVA al 23% a settembre 2012.
Non mancano le tasse demagogiche come quelle sul “lusso”, chiedete ai sardi se si ricordano le tasse sul lusso messe da Soru e poi dichiarate incostituzionali: chiunque ormeggiava la barca o atterrava con il suo aereo privata doveva pagare una tassa, giusto in tempo per la stagione turistica i vacanzieri di fascia alta (quelli che spendono) sono andati alle Baleari, Costa Azzurra, Turchia, Croazia… naturalmente questa tassa ha colpito solo i lavoratori che lavoravano nel mercato turistico.
Professore, lei cosa farà in parlamento al momento del voto ?
@Adriano
Le banche centrali sono, a tutti gli effetti, istituti di diritto pubblico, cioè istituiti e regolati dalla legge (la FED fu creata nel 1913 con l’approvazione del federal reserve act voluto dal congresso degli stati uniti) e soggetti a governance pubblica.Inoltre i presidenti delle banche centrali vengono scelti direttamente dalla politica(negli USA il governatore della FED è designato direttamente dal presidente degli stati uniti).
Il fatto che le banche centrali possano essere strutturate come società per azioni è perciò del tutto irrilevante e non le rende in alcun modo dei soggetti privati.
Lei ha citato Thomas Jefferson. Mi permetto anch’io una citazione dello stesso che suona come una profezia dei tempi che stiamo vivendo (la traduzione è mia e mi scuso per eventuali strafalcioni ma ho cercato di rendere più il senso che la traduzione letterale):
“Io credo che le istituzioni bancarie siano più pericolose per le nostre libertà di eserciti sul piede di guerra. Già esse hanno creato una aristocrazia finanziaria che sfida apertamente il governo. Il potere di creare moneta dovrebbe essere tolto alle banche e restituito al popolo a cui propriamente appartiene. Se il popolo Americano permetterà mai alle banche private di controllare la creazione della moneta allora, prima con l’inflazione e poi con la deflazione, le banche e corporazioni cresceranno grazie ad esse e depriveranno il popolo di tutte le proprietà fino a che i nostri figli si sveglieranno barboni sul continente che i loro padri avevano conquistato. Io spero che riusciremo a sopprimere sul nascere l’aristocrazia del corporazioni finanziarie che già osano sfidare il nostro Governo fino alla prova di forza per prevaricare le leggi del nostro paese”.
Thomas Jefferson, 1791.
PS. Per chi in questo blog non lo sapesse ancora:
le banche centrali di tutto il mondo occidentale non sono dello Stato. Sono SpA i cui principali azionisti sono le banche nazionali.
La BCE è una “SpA” partecipata dalle Banche Centrali dei paesi membri per cui, a sua volta…
Ma come siamo complicati noi Italiani ed europei! Sempre con questi ragionamenti contorti e machiavellici!
Guardate gli americani. Loro almeno vanno sul semplice senza tanti fronzoli.
Ben Bernanke ha fatto il QE1 (Quantitative Easing) il QE2 a ora balla pure il TWIST senza tanti drammi.
Negli ultimi 2-3 anni la FED americana ha stampato… (e ridagli) … ha immesso nel mercato più dollari che in tutti la sua storia precedente!
Ma che diamine, bisogna farlo! Altrimenti arriva la deflazione, la depressione, il “credit crunch” e la disoccupazione perpetua! Amen.
E l’inflazione? Ah, quella è sotto controllo: dentro nel “target range” del 2-3%. Se poi eccede cambiamo il modo di calcolarla così la facciamo tornare a posto!
Pensate che stia scherzando! Qualcuno negli USA (http://www.shadowstats.com) si è preso la briga di continuare a calcolare l’inflazione con i vecchi metodi: calcolata con il metodo usato nel 1980 l’inflazione americana risulta attualmente attorno all’11% annuo (tranne che per gli stipendi ovviamente, ma tanto sono tutti disoccupati, cosa cambia).
Guardatevi il Commodity Price Index (http://www.indexmundi.com/commodities/) e vedete come sono aumentati i prezzi nominali delle commodities nell’ultimo decennio (prodotti alimentari, metalli, carburanti).
La spiegazione ufficiale: la speculazione! Come no, la speculazione su tutto!
Sarà… ma guarda caso tutte le curve cominciano a salire marcatamente solo a partire dal 2000 in poi, cioè da quando la FED ha cominciato a “produrre” dollari in maniera smodata per mantenere il ballo della crescente spesa pubblica e welfare americano. Se guardate al prezzo dell’oro vedrete che segue lo stesso andamento.
Ovvero, se per assurdo come moneta avessimo avuto l’oro avremo che il grano, il riso, la benzina, l’acciaio, il rame ecc. ci costerebbero oggi come dieci anni fa, anzi anche meno. Immaginate cosa ci costerebbe un televisore 60” al plasma! Ce lo tirerebbero dietro!
Non è la roba che vale di più, è la carta moneta che vale meno perché ne hanno stampata un sacco. E saranno obbligati a stamparne sempre di più altrimenti la musica si ferma!
Chiedetevi come mai le banche centrali di molti paesi soprattutto quelli in via di sviluppo, Cina e India in testa, hanno ricominciato a comprare oro a più non posso dopo decenni. Perché nessuno si fida più del dollaro. Sanno che gli americani semplicemente stampano dollari per “risolvere” i problemi. Lo stesso, con buona pace dei tedeschi, accadrà e sta già accadendo con l’euro.
Meno male che dovevamo fare l’euro per fermare le presse stampa lire, come sperava il grande Einaudi!
Presto le presse della BCE gireranno a pieno regime, per ora si stanno solo scaldando!
Prof. Martino, la prego di tenersi in forma: ci sarà bisogno di persone come Lei per raccogliere i cocci e ripartire.
Da Finanza On Line:
“Le banche potranno avere la garanzia dello Stato sulle loro obbligazioni. E’ una delle novità, tra le più gradite dai mercati finanziari, del decreto salva-Italia varato ieri dal governo Monti. Con il pagamento di una commissione fissa le banche potranno assicurare una garanzia aggiuntiva alle proprie emissioni, che potranno così essere usate come collaterale presso la Banca centrale europea per accedere ai finanziamenti.”
Lo stato Italiano, a rischio default, garantisce i bond delle banche di cui nessuno si fida perché imbottite di titoli di stato che rischiano di diventare carta straccia!
Che colpo di genio! Solo un governo di tecnocrati poteva trovare soluzioni di questo calibro!!!
Attenzione, Monti ha altresì dichiarato: “L’Italia ha gravi problemi di credibilità internazionale!”
E credo ben! C’è da far impallidire persino BEPPE GRILLO! A seguito della manovra salva-italia resteranno disoccupati pure i comici!
Allora, Prof. Martino mi corregga e mi sgridi se dico fesserie “cospirazioniste”:
le banche italiane sono piene zeppe di titoli di Stato, in larga parte italiani, a rischio default. Quindi le banche sono a loro volta a rischio default! Ergo, nessuno vuole più comprare i loro bond.
Le altre banche europee sono nella m… per gli stessi motivi. La soluzione sarebbe “semplice”: la BCE compra i bond dei paesi in difficoltà salvando loro e così anche le banche europee. Ma i crucchi non vogliono… ammazza loro…! E la Merkel non può dire di sì!
Forse gli Eurobond? Macchè, i crucchi neppure di quelli vogliono sentir parlare. Insomma, il problema è “solo” politico.
E che vuoi che sia!!! Si riunisce il trio Merkel-Sarko-Monti e (ci scommetto) Supermario, da bravo tecnico che è, impressiona tutti.
Dopo un po’ esce una strana dichiarazione secondo la quale con i problemi delle banche nazionali si devono arrangiare i singoli stati (???)!!! Che voglia dire questo di preciso nessuno lo sa, ma gli elettori tedeschi battono il pugno sul tavolo felici e contenti!
Ma ecco uscire il coniglio salva-Italia dal cilindro: le banche potranno emettere bond (“emissioni”) che, garantiti (???) dallo stato, depositeranno alla BCE (“collaterali”) cambiandoli in euro freschi di stampa (“finanziamenti”)!
Così le banche potranno comprare ancora titoli di Stato per poi di fatto convertirli in bank-bond per farseli acquistare dalla BCE.
Ma non è lo stesso se la BCE compra direttamente i BOT? Certo, però così sono contenti anche i Tedeschi. Ma, insomma, le furbizie ve le dobbiamo sempre insegnare noi italiani?
Ma non è finita qui! Forse salviamo le banche, ma non è detto che esse siano così altruiste (ma quando mai) da continuare a comprare i titoli di stato e non fare semplicemente cassa (oops, scusate, volevo dire “ricapitalizzarsi”)
Infatti Supermario ha impressionato i partner europei anche con un’altra soluzione geniale pronta all’uso: La BCE stamperà un bel po’ di moneta e la passerà al Fondo Monetario Internazionale… scusate non si può dire… occorre usare i termini corretti (altrimenti il popolino ci sgamma subito, e che diamine)!
Allora riprovo: la BCE ricapitalizzerà (questo suona meglio) il FMI il quale concederà un prestito di emergenza all’Italia per mettere i suoi conti in ordine.
Ma direte voi: se la BCE compra direttamente i bond italiani non le fa lei direttamente il prestito?
Certo, ma così è ancora meglio perché il prestito del FMI sarà probabilmente a tassi “agevolati”, non avremo più per un po’ il cardiopalma delle aste di BOT, CCT e CTZ e … i tedeschi saranno ancora più contenti.
Stimatissimo Prof. Martino,
Lei sfonda una porta aperta, con la chiarezza e la schiettezza di linguaggio che la contraddistinguono.
(Aggiungo anch’io una citazione di Thomas Jefferson. Invito chi non ha voglia di leggere le mie parole di andare direttamente alla fine dove la trovate. Rimarrete di sasso così come lo sono rimasto io.)
Mi permetto di aggiungere solo un “piccolissimo” dettaglio: la situazione da Lei descritta per l’Italia è uguale, se non ahimè peggiore (che che ne dicano gli spread), a quella di molte altre nazioni, primi fra tutti gli USA.
La prima domanda è: come siamo potuti arrivare a questo punto? La seconda: non quando, ma SE riusciremo ad uscirne.
A giudicare dall’andazzo generale io direi proprio di no! Bisognerebbe incamminarsi nella giusta direzione, il che a sua volta richiederebbe di capire quali sono i problemi, ma per far questo bisognerebbe quantomeno incominciare a far luce sulla verità.
E qui casca l’asino! A parte qualche voce fuori dal coro come la sua, siamo circondati da menzogne, bugie o falsità comunque le si voglia chiamare. E, anche sotto questo aspetto purtroppo, non solo in Italia.
Siamo alla globalizzazione del rimbecillimento a livello planetario! Le fregnacce imperversano, passate come verità assolute!
Esempi se ne possono trovare a bizzeffe nelle news o commenti economici INTERNAZIONALI.
Esempio: “… alle prese con la crisi del debito sovrano i paesi europei saranno costretti a politiche di ‘austerity’, ma questo rischia di innescare un circolo vizioso poiché i tagli alla spesa pubblica si traducono in calo della crescita se non recessione, quindi calo delle entrate fiscali…” (sono stato “buono” perché molti ci aggiungono anche l’aggettivo “inevitably”).
Mai nessuno che aggiunga le paroline magiche: “… nel breve periodo…”.
Esempio: “… il problema del debito europeo è politico: la BCE potrebbe risolverlo acquistando i titoli di stato dei paesi sotto attacco della speculazione riducendo quindi gli spread. Ma la Germania non vuole! Quindi il problema è solo politico!”
Se qualcuno di voi in questo blog ha debiti con la banca provi domani ad andare a dirle che è solo un problema politico…
Ma queste sono bazzecole!!! L’ultima fresca in ordine di tempo è tutta nostrana: “Il decreto salva Italia”!
Eureka: sale la borsa, scende lo spread! (Mi permetto di aggiungere: “… nel breve periodo…”). Ma soprattutto, udite… udite: volano i bancari!!!
Tutto merito (o-le-le, o-la-la, faccela vedè, faccela toccà…) del(la) Passera!
…continua…
Penso che questo discorso sia molto importante perché spiega in parole semplici e piane le cause di molti dei nostri mali attuali, passati e -temo- futuri.
Credo che l’unica via di salvezza passi per una maggiore e più chiara (e semplice) cultura economica degli italiani e, di conseguenza, per una presa di responsabilità di ognuno (anche con il voto).
L’attuale crisi sta aprendo gli occhi a molti.
Grazie professore di contribuire a chiarire a tutti concetti basilari in modo facilmente comprensibile al “buon padre di famiglia”.
Sono d’accordo che i governi tecnici possano essere “potenzialmente pericolosi”.
In Italia il governo tecnico è stato accettato dai parlamentari di destra e sinistra perché nessuno voleva o poteva prendersi le responsabilità dei danni che la crisi economica continuerà a produrre nei prossimi anni.
Gli elettori italiani hanno accettato un governo tecnico perché non hanno più fiducia nella loro classe politica e sperano che degli addetti ai lavori possano finalmente riuscire a fare qualcosa di STRUTTURALE.
Voi non pensate sia così?
L’ho letto con sempre maggiore piacere a mano a mano che andavo avanti e più andavo avanti, più mi convincevo di condividerlo.
Grazie