Il momento presente suggerisce l’opportunità di fare alcune riflessioni di natura generale. So benissimo, come liberale, che liberalismo e democrazia non coincidono, che fondamentali diritti e libertà individuali possono essere violati e calpestati anche da una democrazia, e, di fatto, lo sono: una sola generazione addietro si sarebbe rimasti sbalorditi dalla quantità e qualità di grossolane violazioni delle libertà personali introdotte nel nostro Paese da un sistema di democrazia parlamentare.
Tuttavia, mi guardo bene dal concludere che liberalismo e democrazia siano incompatibili, non lo sono affatto. Credo invece che un paese liberale sia anche necessariamente democratico ma che l’inverso non sia vero: i provvedimenti liberticidi adottati dalle democrazie di quasi tutto il mondo sono orripilanti. Che cosa dire di un paese che considera un suo cittadino adulto e maturo abbastanza da guidare l’automobile, stipulare un contratto di lavoro, sposarsi, rischiare la vita per il suo paese indossando una divisa, pilotare aerei militari supersonici, ma non abbastanza adulto o maturo da entrare in un bar a bere una birra? Questo accade nella più grande democrazia al mondo: gli USA; tutte le cose prima elencate sono consentite a chi ha meno di ventuno anni, mentre per bere una birra bisogna averne di più, in quasi tutti gli Stati!
Detto questo, pur consapevole dei rischi che anche una democrazia comporta per le mie libertà, non ho mai votato per i due governi “tecnici” nei quali mi sono imbattuto da quando sono in Parlamento: Dini e Monti - due amici, specie il secondo - non hanno mai avuto il mio voto. Sono, infatti, d’accordo con chi espresse quest’opinione: “I governi cosiddetti amministrativi o tecnici sono sempre stati i governi più seriamente e pericolosamente politici che il Paese abbia avuto. Il loro preteso agnosticismo è servito sempre e soltanto a coprire, a consentire o a tentare le più pericolose manovre contrarie alle necessità e agli sviluppi di una corretta vita democratica. (…) Governo di affari, dunque, e dopo di esso un mutamento non nel senso limpidamente indicato dalla consultazione elettorale, ma nella direzione opposta.” Era Palmiro Togliatti alla Camera il 9 luglio 1963!
Togliatti non era un democratico ma aveva un sacro rispetto per la sovranità popolare e riteneva che essa sia violata da governi nati non in conseguenza di elezioni. Personalmente sono da sempre favorevole a governi composti di non parlamentari scelti da un Presidente eletto dal popolo. La divisione dei poteri esecutivo e legislativo, essenziale alla democrazia, mi induce ad essere critico non solo della democrazia parlamentare ma anche del cosiddetto “modello Westminster”: i membri del governo di sua maestà britannica devono essere scelti fra i membri della Camera dei Comuni.
Purtroppo la nostra osannata (a parole) Costituzione non conferisce al Presidente la facoltà di scegliersi il governo che più gli aggrada; a essere violata quindi non è soltanto la sovranità popolare ma anche la nostra Carta Costituzionale: in una democrazia parlamentare escludere i membri del Parlamento dal governo costituisce, a mio parere, un autentico oltraggio all’istituzione parlamentare. Per questo Dini non ebbe mai il mio voto e il mio amico Mario Monti, come gli dissi fin dal primo momento, non lo avrà mai.
La maledizione della “seconda Repubblica” è stata la scelta del presidente della Camera: nel 1994 Irene Pivetti, il cui partito ci fece subire il ribaltone e perdere le elezioni del 1996; nel 2001 Pierferdinando Casini, che ci fece perdere le elezioni del 2006; nel 2008 Gianfranco Fini, il cui gruppetto ha contribuito alla fine della nostra maggioranza, spianando le porte a Mario Monti. Non è per niente casuale che i più acriticamente entusiasti del governo Monti siano l’UDC di Casini e il FLI di Fini.
Che fare? Berlusconi non ha mai, dal 1994 a oggi, cambiato la sua strategia elettorale: ha sempre promesso di ridurre l’invadenza della politica nella vita dei cittadini, ridurre drasticamente le spese pubbliche attuando coraggiose riforme, abbassare le aliquote d’imposta e il carico tributario complessivo gravante su famiglie ed imprese. Con questa prospettiva di “rivoluzione liberale” ha vinto nel 1994, 2001 e 2008, e quasi vinto nel 1996 e nel 2006. Evidentemente gli italiani vogliono proprio ciò che egli aveva promesso loro e, se qualcuno promettesse loro di realizzare – finalmente! – quel programma e avesse un minimo di credibilità, secondo me vincerebbe le elezioni. L’eredità di questo quasi ventennio è chiarissima: le sinistre sono una minoranza dell’elettorato, non sono per niente omogenee, e non è per nulla scontato che vinceranno le prossime elezioni.
Se recuperato, lo “spirito del 1994” può farci uscire dallo squallido pantano in cui siamo precipitati. E’ questa la speranza di un liberale al tempo di Monti.
Antonio Martino, L'Opinione, 28 marzo 2012
Egregio Onorevole Martino,
Lei rimane oggi l’unica personalità politica dignitosa e di spessore culturale e personale nel PDL, oltre che nel resto del panorama politico. Non lo dico per “captatio benevolentiae”, quanto perché è l’unico che oggi difende l’idea di uno stato leggero, non oppressivo delle libertà economiche e non dei cittadini italiani; l’unico che non si rassegna a soccombere alle politiche fiscali demenziali di un uomo che pur stimavo come il premier Monti; l’unico a ricordare che il male europeo non è il mercato, ma l’invadenza dello stato in economia.
Lei resta, pertanto, l’unica speranza per votare un PDL, che sembra parecchio dimentico dei principi che ha rappresentato per quasi un ventennio, mentre non possiamo riporre fiducia in altri uomini del Suo partito, che non sembrano disdegnare il “tassa e spendi” di “sinistra” memoria.
Se proprio devo farLe una tiratina d’orecchie, ma davvero in amicizia, è per il fatto che essendo io un militante locale del PDL in Sicilia (economista e seguace come Lei della scuola di Chicago), l’ho spesso contattata per cercare di lanciare iniziative, in grado di ravvivare l’humus culturale del partito. Penso all’idea realistica di una “flat tax” del 20% per i redditi da lavoro, all’abrogazione dell’Irap e alla minore incidenza dell’Iva, grazie a una politica di radicali cambiamenti nella spesa pubblica centrale e locale, oltre a cessioni degli asset pubblici, municipalizzate comprese. Tuttavia, non ho avuto ancora il piacere di ricevere una Sua risposta, anche se capisco perfettamente la mole di impegni e di email che riceverà.
Per concludere, Onorevole, bisogna creare un team di esperti e di gente di valore del PDL. Ho avuto modo di persona una volta di dirLe che Lei avrebbe dovuto essere al posto di Tremonti. Avremmo certamente scritto una pagina diversa di storia. Allora era il settembre del 2010, ma a due anni di distanza ne sono ancora più convinto.
Spero davvero di sentirLa, perché non è più tempo di restare in panchina e di assistere passivamente a come stanno distruggendo il centro-destra italiano taluni figuri.
Si scommetta e La seguiremo!
Guardi che non scherzo con la “salus populi”. Le tasse e la burocrazia stanno letteralmente distruggendo tutto quel tessuto industriale ed artigianale multicentenario che Adam Smith chiamerebbe la “mano invisible” italiana, e che la Cina e le altre “tigri” neanche si sognano di avere.
Caro On. Martino,
è sicuro che “proporsi di pareggiare il bilancio è semplicemente folle: il contribuente MEDIO dovrebbe versare il 52% del suo reddito all’erario.”?
Basterebbe che lo Stato Italiano possedesse, + o – direttamente, una banca. Attraverso “denaro bancario”, potrebbe ricomprarsi il debito, acquistando Titoli di Stato ad interesse prossimo allo zero. Lo spread verso la Germania si ridurrebbe a zero, quello della Germania verso l’italia volerebbe verso l’infininto, ed il bilancio dello stato vedrebbe un attivo del 15% (visto che il 20% viene ora buttato nel sacco senza fondo del debito).
Qualunque vincolo legislativo imposto dall’europa dei banchieri sarebbe comunque surclassato sia dal primo articolo della ns. costituzione (democrazia e sovranità del popolo italiano) e comunque dal generico “salus populi suprema lex”.
Diventeremmo i primi in europa per bilancio, potremmo ridurre le tasse, conseguendo ulteriori benefici che probabilmente ci permetterebbero di ridurre via via anche il debito (comunque ad interesse zero).
E l’eventuale effetto inflattivo non sarebbe diverso da ora, in cui lo stesso debito viene finanziato, ad alto interesse, da banche private.
Penso che il Giappone abbia fatto la stessa cosa, direi con ottimi risultati (tacendo dei comunque necessari vincoli alla spesa pubblica).
Egr. Aquaro,
io cito la dottrina liberale perché è definita così da tutti i libri di Storia delle Dottrine Politiche.
Potrebbe illustrare qualche argomentazione a sostegno della sua tesi secondo la quale tale dottrina non esiste?
Caro Aquaro,
non idealizzi il passato remoto e non criminalizzi quello recente. Malagodi era talmente liberale che fece sostenere al PLI che preferiva Carter a Reagan! Ho militato a lungo nel PLI, facendo parte di una minoranza costituita da una sola persona. Era tutto, tranne che un partito liberale (almeno a partire dal 1964).
Il passato prossimo non è stato certamente esaltante quanto a provvedimenti assunti ma non è stato nemmeno da buttar via. Fra gli anni di Berlusconi e quelli che vanno dal 1963 al 1993 solo un marziano potrebbe sostenere che i primi (’94 – ’11) siano stati peggiori dei secondi (’63 – ’93). Il trentennio cattocomunista ha distrutto l’economia italiana, dato vita al più grande debito nella storia d’Italia (nel 1993 era il 123% del pil) e soppresso un gran numero di libertà fondamentali.
Tranne gli anni ’50, dal 1946 ad oggi, l’Italia è stata malgovernata e l’esperienza berlusconiana non è immune da questa critica. Ma, in tutta sincerità, è certo che Prodi, D’Alema o Dini abbiano fatto meglio? Crede davvero che Vendola e Di Pietro più Fini, Casini, Bersani e Rutelli farebbero meglio?
Siamo sinceri con noi stessi: abbiamo ragione di essere delusi, avremmo torto ad addebitare tutte le responsabilità a Berlusconi e non dimentichiamo che le alternative possibili so molto peggiori.
am
E’ vero che, interpretando l’art. 81 correttamente, non c’era alcun bisogno di aggiungere un altro obbligo costituzionale. (Chi ne dubita legga le dichiarazioni di Einaudi e Vanoni in sede di commissione all’Assemblea Costituente, dove peraltro l’articolo venne approvato all’unanimità in pochissimo tempo.) E’ altresì vero che, ai livelli attuali di spesa pubblica, proporsi di pareggiare il bilancio è semplicemente folle: il contribuente MEDIO dovrebbe versare il 52% del suo reddito all’erario. Il tentativo produrrebbe il risultato di fare apparire la Grande Depressione come un minuscolo episodio di patologia monetaria. Per rassicurare l’opinione pubblica tedesca e non riformare il welfare, il Fiscal Compac farà precipitare l’Europa nella più grave crisi della sua storia.
Nel nuovo articolo della Costituzione non è stato introdotto il tetto alla spesa pubblica rispetto al PIL (= pressione fiscale).
Ho paura che questo si traduca in più spesa e più tasse.
In realtà mi sembrava meglio la versione precedente dell’Art. 81. Bastava chiarirne in senso rigoroso il significato (che peraltro era già chiaro), ma soprattutto aggiungere la necessità di sanzioni individuali allo sforamento. Così, tra l’altro, leghiamo la ns. costituzione all’europa, e la facciamo dipendere da essa. Mah . . .
Egregio Onorevole,
riprendendo integralmemte le sue parole: “Berlusconi non ha mai, dal 1994 a oggi, cambiato la sua strategia elettorale: ha sempre promesso di ridurre l’invadenza della politica nella vita dei cittadini, ridurre drasticamente le spese pubbliche attuando coraggiose riforme, abbassare le aliquote d’imposta e il carico tributario complessivo gravante su famiglie ed imprese.”
Ma, secondo Lei, al di la delle promesse Berlusconi ha mai attuato durante i suoi mandati un provvedimento davvero liberale che possa essere ricordato ?
E ancora, secondo Lei, non è stata forse la politica di Berlusconi a dare prima alla sinistra la forza di unirsi per portare a palazzo Chigi Romano Prodi e poi a portare la credibilità internazionale del Nostro Paese ai minimi storici tanto da farlo finire nelle mani di Mario Monti?
Non pensa sia giunta l’ora che qualcuno dica a questi signori che guidano il PdL che i liberali di questo Paese si sono distinti nella storia ad esempio per aver fatto annettere l’Italia alla NATO e di li a poco aver addirittura fatto parte del comitato dei tre saggi della NATO stessa.
Forse per avere le idee un po’ più chiare sul PENSIERO LIBERALE, che non è una dottrina come in queste pagine sostiene Guido Cacciari, sarebbe stato meglio, invece di chiedere all’ex DC, ex PSI, ex Sacerdote Gianni Baget Bozzo di stendere la “carta dei valori” di Forza Italia, senza andare troppo indietro nella storia riferirsi al pensiero e agli scritti di illustri liberali italiani come Salvatore Valitutti, Aldo Bozzi, Giovanni Malagodi o di suo padre Gaetano Martino?
Ascoltando Angelino Alfano al suo insediamento a coordinatore del Pdl, ho avuto modo di sentire che poco prima suo padre gli aveva messo in tasca il “santino” della sua prima candidatura nel lontano 1994, è stato li che mi sono ricordato quando nelle tasche dei miei pantaloncini corti nei lontani anni 60 c’erano le caramelle che il Partito Liberale Italiano di una piccola cittadina di provincia distribuiva agli intervenuti al comizio di Giovanni Malagodi.
Non crede che sia ora che i Liberali veri la smettano di lasciare spazio a personaggi che si definiscono tali e ad esempio insieme a Bersano e Casini continuino a sostenere la correttezza del finanziamento pubblico ai partiti ???
è stato appena approvato il pareggio di Bilancio nella Costituzione e il pensiero va alle lezioni del prof. Martino al Master Luiss nelle quali si faceva frequente riferimento al vulnus aperto dagli anni ’60 che aveva dato origine al debito pubblico. Certo l’approvazione avviene forse nel momento più difficile della storia repubblicana tuttavia impone il necessario rigore nella gestione del bilancio dello Stato. Luca Peruzzi
Veramente, ci terrei a sostenere che il liberalismo non è solo una teoria economica.
Bensì una completa dottrina politica, che da Tucidide ed Aristotele fino ad Hayek, passando per Tommaso d’Aquino e Guicciardini, le rivoluzioni Inglesi e l’Habeas Corpus del 1679, i filosofi illuministi Locke, Hume, Adam Smith, Montesquieu, Voltaire e De Toqueville, vede un comune filo conduttore.
Tale “filo” consiste nella visione dell’Uomo come portatore di un certo numero di diritti, cosiddetti “naturali”, di tipo isonomico (uguali per tutti), che dovrebbero essere alla base (ex: “atto dei diritti”, di cui gli italiani sono privi) di ogni sistema giuridico, al fine di difenderlo (l’Uomo) dalla prepotenza dei suoi simili, ma anche da quella dell’autorità pubblica (arbitrio).
Questo non significa, in economia, solo salvaguardare le imprese dalle ingerenze dello Stato. “Laissez faire”, per un liberale, non è sufficiente.
E’ anche necessario un Sistema Giuridico che mantenga paritetici i diritti degli operatori economici. Ovvero, salvaguardi lo stato di concorrenza (ex: pacchetti antitrust).
In questa ottica, secondo quanto apprendo dai Suoi scritti, le teorie di Friedman su tale diritto sono da considerarsi di tipo “evoluzionistico”. Ovvero, il sistema giuridico di cui sopra deve adattarsi continuamente all’evoluzione dei mercati.
Altri (Hayek), non lo ritengono necessario, concependo un sistema giuridico “liberale” come serie di divieti di tipo generale, lasciandone l’applicazione particolare alla giurisprudenza (salvo sistemi di salvaguardia contro l'”arbitrio” dei giudici).
La mia sintesi (che, in quanto tale, è banalizzante e vulnerabile ai fraintendimenti) di tutto ciò, è che se parliamo di confronto economico tra Paesi, non si tratta di un confronto tra imprese, e neanche tra ministri economici, ma più in generale tra relativi sistemi giuridici. Sono questi ultimi che fanno le economie.
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Onorevole Professore, mi sembra che questa riflessione di Cacciari meriti una risposta…
Caro Diego, non sia pessimista: a volte sembra che il popolo sia “bue” (come sosteneva Ettore Lombardo Pellegrino) ma non è così. Basta spiegare bene i termini del problema, almeno spero.
Cordialmente,
am
Friedman si definiva liberale (“non voglio lasciare l’etichetta ai nemici della libertà”). “Liberale significa affidarsi alla libera impresa privata e lasciarla fare. Come supremo, anche se non intenzionale, complimento, i nemici della libera impresa si sono appropriati dell’etichetta.” (J. A. Schumpeter) In America verrei considerato “libertarian” o “conservative”, ma non sono libertario né tanto meno conservatore. Sono “semplicemente” liberale.
Condivido l’articolo e i commenti che mi hanno preceduto sulla necessità del ritorno al maggioritario uninominale.
…
Professore, permetta una domanda, ma come si definisce un liberale al tempo di Obama ? Uno come lei in Italia è definito “Liberale”, ma in USA i “Liberal” sono una specie di progressisti di sinistra contrari alle libertà economiche e favorevoli all’invadenza dello stato. I “Conservatori” sono liberali in economia, ma a volte illiberali o confessionali in altri aspetti della vita (non solo per la birra…). Forse il termine giusto è “Libertarian” ? Friedman come di definiva ?
uninominale a turno unico SENZA QUOTA PROPORZIONALE!!!! Questa è l’unica riforma elettorale autenticamente LIBERALE, semplice, “rozza” come direbbe Monti, ma efficace, molto efficace forse troppo efficace…per piacere alla partitocrazia nostrana! E infatti la quota proporzionale del mattarellum serviva solo a mantenere in vita la suddetta partitocrazia, poi si sono inventati il porcellum per dargli ancora piu’ vitalità, ora pare che l’unica cosa che interessa sia rimettere il voto di preferenza mafioso-camorristico-clientelare…insomma cari signori stiamo attenti, la “casta” non è un mito è una realtà concreta, ci succhiano sangue dalla mattina alla sera, hanno la preoccupazione di salvare la baracca solo in funzione della loro stessa salvezza e di quella dei loro apparati, a questo serve Monti.
Questo governo non è “salva Italia”, è “salva partitocrazia”. Fino a che punto i cittadini saranno disposti ad accettare tutto cio’? Fino a che punto la casta riuscirà a vivere nel suo mondo dorato fatto di assurdi privilegi, mostruose spese? Devono risanare l’Italia? No! Devono solo trovare i soldi per continuare a finanziare le loro spese e accontentare le loro clientele! STANNO LAVORANDO PER SALVARE LORO STESSI NON L’ITALIA!!!E dove lo trovano il danaro? Semplice: nelle tasche dei cittadini che lavorano e producono seriamente!
On. Martino, le pare che la partitocrazia italiana sarebbe disposta a rinunciare al S.S.N. con tutto l’enorme giro d’affari che gli ruota intorno?…Ho i miei serissimi dubbi, inoltre alla casta basterebbe mettere in circolo 4 slogan stile “acqua pubblica” giusto per terrorizzare il “popolo” quanto basta e avere per sè il 93% dei consensi.Piu’ in generale come si puo’ far scendere la spesa pubblica se alla fonte di tale spesa ci sono gli interessi di coloro che dovrebbero essere chiamati a tagliarla?
Caro Martino,
concordo in pieno con lei sulla centralità del programma liberale del Berlusconi del ’94, poi rinnovato anche nelle proposte successive.
Purtroppo, pero’, è stata la stessa azione dei governi del centrodestra a disattenderlo, massimamente nella recente parentesi colbertista di Tremonti.
E, purtroppo, l’aver tradito le promesse nuoce non solo a chi le ha tradite, ma pure alla credibilita’ delle promesse stesse.
Ancor piu’ sono tradite le promesse liberali da chi, anche oggi, spaccia per liberalizzazioni l’aumento delle licenze (farmacie, taxi, notai) deciso per legge o una politica di bilancio che ingrossa le dimensioni degli apparati pubblici.
E’ indispensabile, allora, piu’ che mai in questa stagione, evidenziare tutte le contraddizioni delle politiche che sono etichettate come liberali ma che liberali non sono.
Raffaele Fiume
Concordo totalmente. Ho aderito alla lega per l’uninominale ma, a parte Pannella e i suoi, non siamo moltissimi. In Parlamento, tuttavia, i favorevoli a un sistema uninominale maggioritario sono numerosi e nel paese ancor più.
Uno dei motivi dominanti dello spirito del 1994 era quello di avvicinare la politica alla gente, ma sarebbe meglio dire la gente alla politica. Come? Ma principalmente con una radicale riforma elettorale, unico strumento di una democrazia rappresentativa. E’ riuscita l’impresa? No! Si è passati dal proporzionalismo a un finto maggioritario, con liste bloccate dai partiti. A mio parere l’unico sistema veramente liberale, che può avvicinare formalmente e sostanzialmente la gente alla politica è l’uninominale senza ballottaggio. Ma i partiti italiani da questo versante proprio non ci sentono, lo stesso Berlusconi ha cincischiato ed è alla fin fine, per ragioni di partito, scivolato in un maggioritario con lo spirito del proporzionale (vero miracolo politico). Chissà in un prossimo futuro, anche se non sono tanto ottimista…
Lo spirito del ’94? Dipende. Solo se gli italiani fossero come il camaleonte di Amleto, che “si ciba d’aria e di promesse”.
Difficile credere ancora alle stesse promesse, specialmente avendo raggiunto questo debito pubblico, e con questo sistema monetario.
Poniamo, allora di risolvere dapprima questi ultimi.
Ad esempio, lo Stato potrebbe destinare tutto il gettito fiscale (55% del PIL), ovviamente in Euro, alla riduzione del debito (120% del PIL). E pagasse il restante bilancio (45%) con Lire stampate dalla zecca pubblica. A grandi linee, in meno di tre anni torneremmo alla Lira, e con debito pari a zero.
Tralasciando la discussione sui necessari vincoli (e relative sanzioni personali) ai fini della limitazione della spesa pubblica e della stampa di denaro (“a regime”), la mia domanda è: “DOV’E’ L’ERRORE?”
Paura dell’inflazione? Non con le banche italiane alla caccia di lire che saranno a breve la loro principale valuta.
Paura della svalutazione? Magari!
Lascio spazio alla fantasia . . .
L’osservazione di Vanni è vera; l’ho notato anch’io. Secondo me è una caratteristica tutta italiana, tipica della nostra informazione stile Min.Cul.Pop. Si premia l’informazione mediocre e si penalizza o volutamente si censura con il silenzio, le voci, di chi ha il cosiddetto quid in più come l’On. Martino.
E poi, la verità è che da noi non c’è peggior nemico di un liberale se non un altro liberale ,a maggior ragione nel mondo dei media ma, questa è una mia personale considerazione.
Professor Martino, ma possibile che le sue opinioni siano così poco visibili perfino sulla stampa di orientamento centrodestra e liberale più diffusa? Con tutto il rispetto per L’Opinione, va da sé.
On. Martino, anch’io, come presumo la quasi totalità dei liberali italiani , condivido e sottoscrivo ogni Sua parola.
Siamo tutti fiduciosi e in attesa di un Suo segnale.
Cordialmente.
Claudio Saragozza